Diritto di famiglia

Convivenza di fatto e perdita automatica del diritto all'assegno di divorzio: parola alle Sezioni Unite (Cass., Sez. I, Ord. Interlocutoria, 17 dicembre 2020, n. 28995)

L’art. 5, comma 10, Legge n. 898/1970, come è noto, prevede che l'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile cessi qualora il coniuge beneficiario passi a nuove nozze.

Nel caso in esame la ex moglie, con ricorso innanzi la Suprema Corte, lamentava la violazione e falsa applicazione della predetta norma nella parte in cui la Corte d’Appello aveva esteso detta previsione ritenendo che "la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi, senza alcuna valutazione discrezionale del giudice, l'immediata soppressione dell'assegno di divorzile".

Gli Ermellini della Prima Sezione, con la pronuncia in commento, sollecitano le Sezioni Unite della Suprema Corte a rivedere l'orientamento più recentemente espresso e secondo il quale l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, sciogliendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, determina la decadenza dall'assegno divorzile senza possibilità per giudicante di ponderare i redditi dei coniugi al fine di stabilire, comunque, dell'indicata posta una misura.

L'indicato automatismo, risultando altrimenti di contrasto con la lettera della norma, andrebbe riferito al solo, e diverso, caso delle nuove nozze, secondo i Giudice della Prima Sezione della Suprema Corte.

Nel dibattito circa la possibilità che, a seguito dell’instaurazione di una convivenza more uxorio, connotata da stabilità e durata provate in giudizio, il diritto all’assegno divorzile erogato al coniuge divorziato si estingua automaticamente si sono creati due differenti indirizzi giurisprudenziali.

Un primo e più recente indirizzo formatosi nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 6855/2015, ripresa nelle sue affermazioni da Cass. n. 2466/2016, nonché Cass. n. 29317/2019 e Cass. n. 22604/2020), che ha trovato applicazione nella sentenza dei giudici di appello, afferma che l'instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell'assegno divorzile a carico dell'altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso. Infatti, la formazione di una famiglia di fatto - costituzionalmente tutelata ai sensi dell'art. 2 Cost. come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell'individuo - è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà postmatrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo.

Secondo tale impostazione, infatti, in applicazione del principio dell’auto-responsabilità, la persona metterebbe in conto quale esito della scelta compiuta, con il rischio di una cessazione della nuova convivenza, il venir meno dell'assegno divorzile e di ogni forma di residua responsabilità post-matrimoniale, rescindendosi attraverso la nuova convivenza ogni legame con la precedente esperienza matrimoniale ed il relativo tenore di vita.

L’automatismo degli effetti estintivi resterebbe tuttavia mediato e contenuto dall’accertamento operato in sede giudiziale circa i caratteri della famiglia di fatto, in quanto formazione stabile e duratura, e, ancora, in ragione della solidarietà economica che si realizza tra i componenti di quest'ultima.

Esiste poi un secondo filone giurisprudenziale, condiviso dai Giudici della Prima Sezione, che imporrebbe un ripensamento del più recente orientamento in base ad un completo scrutinio del canone dell'auto-responsabilità, sorretto dalla necessità di individuarne a pieno il portato applicativo, anche per quelli che ne sono i corollari.

Il predetto principio, secondo tale interpretazione, non opererebbe soltanto per il futuro, chiamando gli ex coniugi che costituiscono con altri una stabile convivenza a scelte consapevoli di vita e ad assunzioni di responsabilità anche rispetto a pregresse posizioni, ma anche per il passato, aprendo la strada ad una funzione compensativa dell’assegno divorzile ed emancipandolo da un’esclusiva funzione assistenziale.

In altre parole, tale impostazione tenderebbe a permettere al beneficiario di godere dell’assegno divorzile non solo perché soggetto economicamente più debole ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell’interesse della famiglia e dell’altro coniuge nell’arco del significativo percorso matrimoniale e, in tale visione, le ragioni assistenziali, nella loro autonomia, perderebbero di forza, lasciando il posto a quelle dell’individuo e della sua dignità.

Secondo la Prima Sezione della Suprema Corte, il medesimo principio dell’auto responsabilità lavorerebbe quindi anche, per così dire, per il tempo passato e come tale sul fronte dei presupposti del maturato assegno divorzile là dove di questi, nel riconosciuto loro composito carattere (cfr. Cass. S.U. n. 18287/2018), si individua la funzione compensativa.

Il Collegio della Prima Sezione ritiene che anderebbe colta l'esigenza, piena, di dare dell'assegno divorziale una lettura che, “emancipandosi da una prospettiva diretta a valorizzare del primo la natura assistenziale, segnata dalla necessità per il beneficiario di mantenimento del pregresso tenore di vita matrimoniale, resta invece finalizzata a riconoscere all'ex coniuge, economicamente più debole, un livello reddituale adeguato al contributo fornito all'interno della disciolta comunione; nella formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale dell'altro coniuge.

Dopo una vita matrimoniale che si protratta per un apprezzabile arco temporale, l'ex coniuge economicamente più debole, che abbia contribuito al tenore di vita della famiglia con personali sacrifici anche rispetto alle proprie aspettative professionali ed abbia in tal modo concorso occupandosi dei figli e della casa pure all'affermazione lavorativo-professionale dell'altro coniuge, acquista il diritto all'assegno divorzile.

Gli indicati contenuti, per i quali trova affermazione e composizione nelle dinamiche post-matrimoniali il principio di auto-responsabilità in materia di assegno della L. n. 898 del 1970, ex art. 5, comma 6 e successive modifiche, vogliono così che il beneficiario possa godere dell'assegno divorzile non solo perché soggetto economicamente più debole, ma anche per quanto da egli fatto e sacrificato nell'interesse della famiglia e dell'altro coniuge, il tutto per un percorso in cui le ragioni assistenziali nella loro autonomia perdono di forza, lasciando il posto a quelle dell'individuo e della sua dignità.

Secondo il Collegio della Prima Sezione, quindi, il principio di autoresponsabilità destinato a valere in materia per il nuovo orientamento della Suprema Corte, compendiato nelle ragioni di cui alla sentenza delle Sezioni Unite n. 18287/2018, non può escludere, e per intero, il diritto all'assegno divorzile là dove il beneficiario abbia instaurato una stabile convivenza di fatto con un terzo.

Il principio meriterebbe, affermano gli Ermellini con l’Ordinanza in commento, una differente declinazione più vicina alle ragioni della concreta fattispecie ed in cui si combinano la creazione di nuovi modelli di vita con la conservazione di pregresse posizioni, in quanto, entrambi, esito di consapevoli ed autonome scelte della persona. Sulla indicata esigenza, ben potrebbe ritenersi che permanga il diritto all'assegno di divorzio nella sua natura compensativa, restando al giudice di merito, al più, da accertare l'esistenza di ragioni per un'eventuale modulazione del primo là dove la nuova scelta di convivenza si rilevi migliorativa delle condizioni economico-patrimoniali del beneficiario e tanto rispetto alla funzione retributiva dell'assegno segnata, come tale, dall'osservanza di una misura di autosufficienza.

Infine, ritengono i Giudici della Prima Sezione, nessun argomento in chiave di disconoscimento o contenimento della funzione dell'assegno divorzile viene dalla disciplina della convivenza di fatto.

La Legge n. 76 del 2016, art. 1, comma 65, istitutiva delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e di disciplina delle convivenze di fatto, riconosce, per quanto in questo giudizio rileva, anche ai conviventi di fatto, quando la convivenza venga meno, il diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., che è destinato a valere per la parte economicamente più debole che versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al suo mantenimento, il tutto "per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell'art. 438 c.c., comma 2".

La finalità in gioco sarebbe qui, per gli Ermellini, quella assistenziale, tutta spesa sulla necessità del riconoscimento di un aiuto economico all'ex convivente e modulata sulla durata del legame per l'espresso riferimento contenuto nella norma.

Nella diversità degli interessi in rilievo, la questione della distinta sorte da riservarsi all'assegno divorzile nella instaurazione di una stabile convivenza di fatto del beneficiario, resterebbe aperta.

Fatte tali doverose premesse, la questione per cui la Prima Sezione sollecita l'intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte è allora quella di stabilire se, instaurata la convivenza di fatto, definita all'esito di un accertamento pieno su stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto dell'ex coniuge, sperequato nella posizione economica, all'assegno divorziale si estingua comunque per un meccanismo ispirato ad automatismo, nella parte in cui prescinde di vagliare le finalità proprie dell'assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative che, guidate dalla obiettiva valorizzazione del contributo dato dall'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, sostengano dell'assegno divorzile, negli effetti compensativi suoi propri, la perdurante affermazione, anche, se del caso, per una modulazione da individuarsi, nel diverso contesto sociale di riferimento.

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Sentenza tratta dalla Banca Dati Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre che si ringrazia per la gentile disponibilità.

Dott.ssa Martina Giannetti                                     Avv. Jacopo Alberghi