Diritto civile

Decesso del paziente per infezione da Covid-19 contratta durante il ricovero: sulla responsabilità della struttura sanitaria (Sent. N. 1511/2024 emessa dal Tribunale di Padova)

In tema di responsabilità medica, si segnala l’innovativa pronuncia di merito n. 1511/2024, emessa dal Tribunale di Padova, nel settembre 2024, riguardante il caso di un paziente deceduto in RSA a causa di infezione da Covid-19 contratta in struttura durante il ricovero.

Detta pronuncia costituisce, ad oggi, una delle pochissime pronunce a livello nazionale in materia di responsabilità per decesso del paziente a seguito di infezione ospedaliera per Covid-19.

Nel caso di specie, parte attrice contestava il mancato impedimento della diffusione della malattia all’interno della struttura e, a questo proposito, il Tribunale riteneva che fosse “pacifica la diretta riconducibilità causale dell’infezione Covid-19 alla prestazione resa dalla struttura, nel senso che fosse incontestato che il contagio fosse avvenuto all’interno della struttura convenuta.

Dopo aver rievocato i criteri di ripartizione dell’onere probatorio in materia, ricordando come gravi sul soggetto danneggiato la prova – anche presuntiva – della diretta riconducibilità causale dell’infezione alla prestazione sanitaria e come invece incomba sulla struttura sanitaria, al fine di esimersi da ogni responsabilità per i danni patiti dal paziente, l’onere di fornire la prova della specifica causa imprevedibile e inevitabile dell’impossibilità dell’esatta esecuzione della prestazione, il Giudice ha specificato come la prestazione non debba essere concepita quale mera astratta predisposizione di presidi sanitari potenzialmente idonei a scongiurare il rischio di infezioni nosocomiali a carico dei pazienti, bensì come “impossibilità in concreto dell’esatta esecuzione della prestazione di protezione direttamente e immediatamente riferibile al singolo paziente interessato” (così anche Cass. civ. 5490/2023).

La responsabilità della struttura sanitaria, infatti, come è noto, non ha natura oggettiva, per cui la struttura convenuta potrà fornire la prova liberatoria di aver adottato tutte le misure utili alla prevenzione del contagio, consistenti nell’indicazione, inter alia, dei protocolli relativi alla disinfezione, disinfestazione e sterilizzazione di ambienti e materiali, delle modalità di raccolta, lavaggio e disinfezione della biancheria, delle modalità di preparazione, conservazione ed uso dei disinfettanti, dell’avvenuta attivazione di un sistema di sorveglianza e di notifica, dei criteri di controllo e di limitazione dell’accesso ai visitatori, della redazione di un “report” da parte delle direzioni dei reparti, da comunicarsi alle direzioni sanitarie al fine di monitorare i germi patogeni-sentinella (vedasi anche Cass. Civ. n. 6386/2023).

Il Giudice del Tribunale di Padova, con condivisibile percorso motivazinale, si è quindi riportato ai puntuali accertamenti dei Consulenti tecnici d’ufficio, dai quali emergeva una grave confusione nel rendiconto delle attività e la mancata somministrazione dei tamponi molecolari in un periodo critico per la tipologia specifica di sorveglianza in atto.

Veniva infatti evidenziato in perizia che il soggetto fosse sintomatico in misura importante a poche ore dalla morte e che una desaturazione e un respiro affannoso, in presenza di febbre e in assenza di altri sintomi, avessero delineato un grave impegno respiratorio di per sé sufficiente a determinare la morte; in virtù di tali elementi, i Consulenti hanno ritenuto giustificato indicare, secondo il criterio del più probabile che non, che si sia trattato pertanto di insufficienza cardio-respiratoria conseguente a malattia da Covid-19.

Alla luce dell’appurato atteggiamento di scarsa assistenza, caratterizzata da marcata negligenza, secondo il Collegio peritale – applicando il criterio del più probabile che non – “si deve indicare come più probabile che la malattia avrebbe condotto al decesso del paziente rispetto a una evoluzione positiva. L’infezione da Covid, in paziente fragile, non si traduce tuttavia in inevitabile exitus”, non potendosi dunque esimere gli operatori “dal porre in atto quelle terapie di supporto che erano comunque consigliate e possibili nel novembre 2020 in ambiente assistenziale qualificato”.

In conclusione, “laddove il paziente fosse stato adeguatamente trattato, avrebbe avuto apprezzabili, serie e consistenti possibilità di sopravvivenza”.

Interessante a questo proposito il passaggio nel quale emerge come non si potesse affermare con certezza, e nemmeno con il criterio del più probabile che non, che il paziente sarebbe sopravvissuto laddove fosse stato adeguatamente trattato, pur tuttavia essendo possibile applicare un ragionamento controfattuale che conduce a dichiarare che il comportamento omissivo dei sanitari ha comunque contribuito a ridurre le chance di sopravvivenza, arrivando ad indicare, orientativamente, una perdita di chance di sopravvivenza del 25%.

In ragione di tali elementi, e considerate l’età della vittima (82 anni), della moglie (64 anni) e del figlio (26 anni) del defunto, il Tribunale di Padova ha ritenuto congrui gli importi indicati in atto introduttivo, liquidando la somma di Euro 252.375,00 ciascuno a titolo di perdita del rapporto parentale, oltre alle spese funerarie e di ATP.

Trattasi quindi di precedente di merito molto importante che apre, almeno potenzialmente, significativi scenari giurisprudenziali per molti altri casi oggi pendenti.

Si ringrazia il Collega civilista Avv. Giacomo Vassia, del Foro di Ivrea, che ha seguito il caso, per aver condiviso con il nostro Studio l’importante sentenza di cui sopra.

La Spezia, lì 13.11.2024

Dott.ssa Alessia Cassone                               Avv. Jacopo Alberghi del Foro della Spezia