Diritto civile

Diritto all'indennizzo per inumana detenzione, prescrizione e decorrenza. Parola alle Sezioni Unite.

 

Cassazione civile, Sez. Un., 8/5/2018, n. 11018, Presidente: G. Mammone, Relatore: P. Curzio

Oggetto della decisione in commento è rappresentato dal termine, quinquennale o, in subordine, decennale, della prescrizione del diritto all'indennizzo per inumana detenzione.

Sulla questione, come è noto, si sono già più volte espresse le sezioni penali, occupandosi ovviamente della parte della disciplina dell'art. 35-ter di competenza del Tribunale di sorveglianza.

Da ultimo, sul tema sono intervenute anche le Sezioni Unite penali, con la sentenza n. 3775 del 26 gennaio 2018, che hanno affermato il seguente principio di diritto: "la prescrizione del diritto leso dalla detenzione inumana e degradante azionabile dal detenuto ai sensi dell'art. 35 ter, commi 1 e 2, ord. pen., per i pregiudizi subiti anteriormente all'entrata in vigore del D.L. n. 92 del 2014, decorre dal 28 giugno 2014" (data di entrata in vigore del decreto legge).

La sentenza richiama i precedenti di legittimità sul carattere innovativo della previsione dell'art. 35 ter, ed afferma che la prescrizione inizia a decorrere solo dall'introduzione dell'art. 35 ter ord. pen., in quanto "il rimedio risarcitorio in esame non era prospettabile prima della entrata in vigore della novella del 2014". Aggiunge poi che l'assenza di un precedente strumento di tutela, accessibile ed effettivo, "integra un impedimento all'esercizio del diritto rilevante ai sensi del generale principio di cui all'art. 2935 cod. civ. in base al quale la prescrizione decorre soltanto dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere".

Tale conclusione è stata ritenuta nuovamente condivisibile dalla Suprema Corte che l’ha ribadita, in sede di giudizio civile, con la sentenza in commento.

Il richiamo dell'art. 2935 c.c., richiede però una precisazione, ricordano gli Ermellini, in quanto la formula legislativa "dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere" contenuta in tale disposizione, per consolidato orientamento dottrinale e giurisprudenziale, deve intendersi con riferimento alla possibilità legale, non influendo sul corso della prescrizione, salve le eccezioni stabilite dalla legge, l'impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (ex plurimis: Cass. n. 10828/2015; Cass. n. 21026/2014; Cass. n. 3584/2012).

Tale ricostruzione comporta che il significato della norma finisce per circoscriversi all'impedimento della decorrenza per i casi nei quali l'efficacia del fatto costitutivo sia sottoposta a condizione sospensiva o a termine iniziale, mentre gli impedimenti soggettivi o gli ostacoli di mero fatto non impediscono il decorrere della prescrizione, compresa la presenza di una norma costituzionalmente illegittima che limiti o escluda l'esercizio del diritto.

Nel caso in esame però la situazione è diversa: il D.L. n. 92 del 2014, introducendo nell'ordinamento l'art. 35 ter ord. pen., ha creato un rimedio nuovo e distinto da quello desumibile dal contesto “interordinamentale” previgente, che aveva portato alla condanna dello Stato italiano al pagamento in favore dei ricorrenti di una serie di somme a titolo di risarcimento del danno morale in sede di Corte Europea dei diritti dell'uomo.

Il rimedio enucleato dal legislatore italiano, introducendo nel 2014 l'art. 35-ter, è anch'esso fondato sul principio dettato dall'art. 3 della Convenzione Europea, per cui "nessuno può essere sottoposto a tortura, nè a pene o trattamenti inumani o degradanti", e sull'art. 27, terzo comma, della nostra Costituzione per il quale "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".

Pur radicato in questi principi fondamentali e comuni all'ordinamento italiano ed Europeo, esso presenta però tratti strutturali distinti e autonomi. Non era previsto, nè era desumibile dall'ordinamento, in caso di violazione di quei principi, un diritto alla riduzione della pena e non era previsto un diritto ad un compenso economico con i peculiari connotati impressi dal secondo e dall'art. 35-ter ord. pen., comma 3.

La novità dell'istituto non ne esclude la retroattività. Se di norma, ai sensi dell'art. 11 preleggi, la legge dispone per l'avvenire, nel caso in esame, tuttavia, illustra la Corte, il legislatore ha conferito carattere retroattivo alla nuova disciplina. Lo si desume dalla premessa e dal senso complessivo della normativa introdotta nel 2014, finalizzata a definire anche le situazioni pregresse. Ma lo si deduce, in modo chiaro sul piano testuale, dalla lettura della normativa intertemporale dettata dall'art. 2, che, disciplinando la materia della decadenza, fa inequivocabilmente riferimento, sia nel primo che nel comma 2, a detenzioni degradanti ed inumane già conclusesi (e quindi anteriori) al momento dell'entrata in vigore della legge.

Nonostante la terminologia utilizzata dal legislatore, che, tanto con riferimento alla riduzione della pena, quanto con riferimento al compenso in denaro, assume che vengono riconosciuti "a titolo di risarcimento del danno", deve concordarsi con quanto già più volte affermato dalle sezioni penali circa il fatto che si è in presenza di un mero "indennizzo".

In particolare, deve ritenersi che la previsione di "una somma di denaro pari ad otto Euro per ciascuna giornata" in cui è stato subito il pregiudizio, indica che il legislatore si è mosso in una logica di forfetizzazione della liquidazione, che considera solo l'estensione temporale del pregiudizio, senza nessuna variazione in ragione della sua intensità e senza alcuna considerazione delle eventuali peculiarità del caso. Manca il rapporto tra specificità del danno e quantificazione economica che caratterizza il risarcimento e manca ogni considerazione e valutazione del profilo soggettivo.

 

Al fine di contenere i costi, semplificare il meccanismo di calcolo e ridurre le variabili applicative, si è scelta la via dell'indennizzo, cioè di un compenso di entità contenuta e di meccanica e uniforme quantificazione.

La natura di mero indennizzo e il radicarsi della responsabilità nella violazione di obblighi gravanti "ex lege" sull'amministrazione penitenziaria nei confronti dei soggetti sottoposti alla custodia carceraria, convergono nell'escludere l'applicabilità della regola specifica dettata per la prescrizione del "diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito" dall'art. 2947 c.c., comma 1. Vale, pertanto, la regola generale della prescrizione decennale.

Poiché il diritto all'indennizzo è strutturato dalla legge come diritto a percepire una cifra fissa di otto Euro al giorno che si incrementa (solo) in relazione al numero di giornate di detenzione degradante, deve ritenersi che, simmetricamente, esso maturi "giorno per giorno", con le relative conseguente sul metodo di calcolo del termine di prescrizione.

Questo accadrà nel meccanismo a regime, perché, invece, con riferimento alle situazioni in cui la detenzione sia cessata prima dell'entrata in vigore della legge, il termine di prescrizione decorre da quest'ultima data, e cioè dal momento in cui il nuovo rimedio è stato introdotto nell'ordinamento.

Come affermato in dottrina, la prescrizione non è in via generale incompatibile con la decadenza. Nè possono essere meccanicamente applicati alla materia in esame i principi affermati dalla sentenza Cass. n. 16783/2012 in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo. Le due discipline e, più a monte, le situazioni regolate, presentano elementi di analogia, ma anche incisive differenze, che impongono di evitare sovrapposizioni ricostruttive, fonte di possibili confusioni.

Se nell'ambito della disciplina transitoria dettata dal D.L. n. 92 del 2014, art. 2, la prescrizione decorre dall'entrata in vigore della legge, questa forma di estinzione rimarrà assorbita in tutti i casi in cui il diritto viene meno perché l'azione non è stata proposta nel termine di decadenza di sei mesi dalla entrata in vigore della legge.

Al contrario, nel meccanismo a regime, potrà accadere che la prescrizione maturi in corso di detenzione e quindi prevalga sulla decadenza che, ai sensi dell'art. 1, decorre dalla cessazione dello stato di detenzione (la carcerazione non costituisce impedimento al decorrere del termine di prescrizione con riferimento a pretese di natura civilistica, cfr. Cass. n. 2696/2015).

In conclusione, la Suprema Corte, nella sua più autorevole composizione, con la sentenza in commento ha stabilito che “il diritto ad una somma di denaro pari a otto Euro per ciascuna giornata di detenzione in condizioni non conformi ai criteri di cui all'art. 3 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, previsto dall'art. 35 -ter, terzo comma, ord. pen., si prescrive in dieci anni, che decorrono dal compimento di ciascun giorno di detenzione nelle su indicate condizioni. Coloro che abbiano cessato di espiare la pena detentiva prima dell'entrata in vigore della nuova normativa, se non sono incorsi nelle decadenze previste dall'art. 2 d.l. 92/2014 convertito in l. 117/2014, hanno anch'essi diritto all'indennizzo ex art. 35 -ter, terzo comma, ord. pen., il cui termine di prescrizione in questo caso non opera prima del 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del decreto legge”.

Avv. Jacopo Alberghi

Di seguito, in allegato, il testo integrale della sentenza: Cassazione civile, Sez. Un., 8/5/2018, n. 11018,