Categoria: Diritto del Lavoro

Infortunio sul lavoro con esito mortale: danno differenziale e criteri di calcolo in caso di intervento INAIL (Cassazione civile sez. lav., n.3694 del 7.2.2023)

La controversia in esame riguarda le conseguenze risarcitorie (cd. quantum) dell'infortunio mortale sul lavoro occorso ad un lavoratore dipendente, purtroppo deceduto due giorni dopo l'infortunio e in conseguenza di esso, all'età di 48 anni, in relazione al quale venivano accertate responsabilità penali ed erogate, in favore dei superstiti, le prestazioni di legge da parte di INAIL e INPS, nonché somme a titolo di acconto.

Opportuno, preliminarmente, premettere alcuni principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in ordine al riconoscimento del danno differenziale a favore del lavoratore infortunato, nonché ricordare i criteri da adottarsi per il raffronto tra risarcimento del danno (civilistico) ed indennizzo erogato dall'INAIL.

La differenza strutturale e funzionale tra l'erogazione INAIL del D.Lgs. n. 38 del 2000, ex art. 13 e il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall'istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto infortunato od ammalato (cfr. Cass. n. 9112/2019).

La diversità ontologica tra l'istituto assicurativo e le regole della responsabilità civile trova un riscontro sul piano costituzionale, posto che i due rimedi rinvengono ciascuno un referente normativo diverso: la prestazione indennitaria risponde agli obiettivi di solidarietà sociale cui ha riguardo l'art. 38 Cost., mentre il rimedio risarcitorio, a presidio dei valori della persona, si innesta sull'art. 32 Cost..

L'assicurazione INAIL non copre tutto il danno biologico conseguente all'infortunio o alla malattia professionale ed ammettere il carattere assorbente della prestazione indennitaria (...)

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Quali obblighi sono a carico del datore di lavoro per la tutela della salute dei lavoratori? Gli indumenti di lavoro rientrano tra i dispositivi di protezione individuale? (Cass. n. 5748/2020)

Come e' noto, spetta al datore di lavoro fornire al dipendente adeguati dispositivi di protezione individuale.

La nozione legale di Dispositivi di Protezione Individuale (D.P.I.) non deve essere intesa come limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute in base a caratteristiche tecniche certificate, ma, in conformità alla giurisprudenza di legittimità, va riferita a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa in concreto costituire una barriera protettiva, sia pure ridotta o limitata, rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore, in conformità con l'art. 2087 c.c., norma di chiusura del sistema di prevenzione degli infortuni e malattie professionali, suscettibile di interpretazione estensiva in ragione sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute, sia dei principi di correttezza e buona fede, cui deve ispirarsi lo svolgimento del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 33133/2019).

Nella medesima ottica, con un pronunciamento che assume oggi una particolare attualità, la Suprema Corte ha confermato che il datore di lavoro è tenuto a fornire i suddetti indumenti ai dipendenti e a garantirne l'idoneità a prevenire l'insorgenza e il diffondersi di infezioni, provvedendo al relativo lavaggio, che è indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza e che, pertanto, rientra tra le misure necessarie "per la sicurezza e la salute dei lavoratori", che il datore di lavoro è tenuto ad adottare ai sensi del d.lg. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5 e s.m.i. (cfr. Cass. n. 33133/2019).

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Le Sezioni Unite intervengono sui criteri per l’individuazione dei superstiti delle vittime del dovere (Cass. Sezioni Unite n. 22753/2018)

La questione sottoposta alle Sezioni Unite attiene all'individuazione dei familiari superstiti di vittime del dovere, mancando una specificazione nella normativa di cui alla L. n. 266 del 2005 (nozione in ordine alla quale, come evidenziato dalla Sezione Lavoro, si contrappongono due diverse interpretazioni), nonché alla corretta interpretazione dell'art. 82 (la cui rubrica recita "disposizioni in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata") di cui alla L. n. 388 del 2000 ed alla possibilità di estendere i benefici previsti dalla normativa anche ai fratelli e sorelle non conviventi, così come previsto da tale norma, superstiti delle vittime del dovere di cui alla L. n. 266 del 2005.

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Indennizzabile dall’INAIL anche la malattia professionale “non tabellata”: Cass. n. 5066/2018

Nell'ambito del sistema assicurativo contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali sono indennizzabili tutte le malattie di natura fisica o psichica la cui origine sia riconducibile al rischio del lavoro, sia che riguardi la lavorazione, sia che riguardi l'organizzazione del lavoro e le modalità della sua esplicazione, dovendosi ritenere incongrua una qualsiasi distinzione in tal senso, posto che il lavoro coinvolge la persona in tutte le sue dimensioni, sottoponendola a rischi rilevanti sia per la sfera fisica che psichica.

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Esclusione e licenziamento del socio lavoratore di cooperativa: la soluzione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite, con sentenza n. 27436/2017, hanno affermato che, in caso d'impugnazione del licenziamento da parte del socio lavoratore di cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall'omessa impugnazione, da parte del socio, della contestuale delibera di esclusione (dalla società) fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, restando esclusa la sola tutela reintegratoria.

Infortunio sul lavoro del dipendente di giovane età e professionalmente inesperto: responsabilità datoriale e onere della prova

Fermi gli obblighi di sicurezza e protezione previsti dalle specifiche norme di tutela e prevenzione (cfr. D.Lgs. 81/2008), la responsabilità del datore di lavoro, dal punto di vista sostanziale, trova riferimento nel principio generale espresso dall’art. 2087 c.c. in base al quale “l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
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