In un condominio è configurabile come legittima l’occupazione di parte del cortile comune mediante il parcheggio del proprio veicolo? Puo' esistere un divieto in tal senso? Se si', a quali condizioni?
La risposta ai predetti quesiti e' da ricercarsi nell'ambito della disposizione normativa di cui all'art. 1102 c.c. che, come e' noto, disciplina l'uso della cosa comune.
Secondo l'interpretazione offerta dalla Suprema Corte, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ex art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto.
Deve pertanto ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poichè impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (cfr. Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640).
E' poi decisivo, come giustamente evidenziato dagli Ermellini con la sentenza in commento, osservare che l'art. 1102 c.c. non pone alcun margine minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, sicchè può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti di una porzione del cortile comune, ove comunque impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà (cfr. Cass. Sez. 2, 07/07/1978, n. 3400).
Di seguito il testo della sentenza de quo.
(omissis)
M.M. ha proposto ricorso articolato in unico motivo (violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c.) avverso la sentenza n. 12182/2017 del 14 dicembre 2017 resa dal Tribunale di Napoli.
Resiste con controricorso T.P., mentre rimane intimata, senza svolgere attività difensive, V.V..
La causa ebbe inizio con citazione di T.P., il quale convenne davanti al Giudice di pace di Napoli M.M. e V.V., chiedendo che venisse vietato a questi ultimi di parcheggiare i loro motoveicoli nello spazio prospiciente l'immobile di proprietà del T., nel fabbricato di (OMISSIS), impedendo tale condotta all'attore di godere delle parti condominiali dell'edificio. La domanda venne accolta dal Giudice di pace, anche alla luce del regolamento condominiale, che contiene divieto di ingombro del cortile, e considerate le deposizioni dei testimoni, i quali avevano confermato la circostanza del parcheggio dei veicoli ad opera dei convenuti con intralcio all'accesso nella proprietà T.. Il Tribunale di Napoli ha poi respinto gli appelli di M.M. e V.V., richiamando le dichiarazioni dei testi T.A. e A.M.C. circa il parcheggio dei motoveicoli compiuto dal M. e dalla V. e le documentazioni fotografiche prodotte, e negando rilievo, ai fini della fondatezza della ravvisata violazione dell'art. 1102 c.c., al dato della saltuarietà o sporadicità delle soste denunciate, sia perchè tale sporadicità non esclude la possibilità di una prolungata durata dei parcheggi illegittimi, sia perchè comunque non erano stati precisati dai testimoni indicati dai convenuti i limiti temporali delle medesime soste nel cortiletto.
L'unico motivo del ricorso di M.M. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 116 c.p.c., avendo la sentenza del Tribunale di Napoli arbitrariamente sommato le soste attribuibili al M. ed alla V., e per di più ignorato che le soste durassero pochi minuti, nè avendo i testi indicato la distanza precisa tra il luogo di sosta dei motoveicoli e l'accesso alla proprietà T..
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 - bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comma 2.
Va disattesa l'eccezione del controricorrente di "inammissibilità del ricorso per carenza di autosufficienza", in quanto l'unico motivo di impugnazione denunzia la violazione e falsa applicazione della legge ed indica le argomentazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si ipotizzano in contrasto con la medesima legge o con l'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza. Peraltro, la censura, in realtà, addebita al Tribunale di Napoli la mancata o erronea valutazione di risultanze processuali (deposizioni testimoniali), ma tuttavia indica sufficientemente le risultanze istruttorie che il ricorrente asserisce decisive o malamente valutate.
Il motivo del ricorso appare, peraltro, privo dei necessari caratteri della tassatività, della specificità e della riferibilità alla sentenza impugnata, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ed è comunque infondato.
In tema di ricorso per cassazione, la violazione dell'art. 116 c.p.c. (norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale) è idonea ad integrare il vizio di cui all'art. 360 c.p.c., n. 4. solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all'opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime. Viceversa, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, che è quello che lamenta il ricorrente, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (che attribuisce rilievo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), nè in quello del precedente n. 4, disposizione che - per il tramite dell'art. 132 c.p.c., n. 4, - dà rilievo unicamente all'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. Sez. 3, 10/06/2016, n. 11892).
Va ritenuto che la causa intentata dal T., volta, fra l'altro, all'eliminazione della situazione antigiuridica posta in essere dai convenuti con l'uso illegittimo del cortile condominiale, che ostacolava l'accesso all'immobile di sua proprietà, fosse finalizzata a conseguire sia la rimozione della situazione lesiva posta in essere dal M. e dalla V., sia la inibizione degli stessi (ovvero l'ordine di astenersi in futuro dal ripetere tali atti lesivi), sia il risarcimento dei danni subiti alla pienezza e libertà del proprio godimento.
I giudici di merito hanno accertato in fatto, con apprezzamento loro spettante e sindacabile in sede di legittimità solo nei limiti di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che la sosta dei mezzi meccanici nel cortile comune antistante la proprietà T. ne pregiudichi la transitabilità, sì da impedire od ostacolare l'accesso all'unità immobiliare del singolo condomino, con correlata violazione del principio stabilito dall'art. 1102 c.c..
La decisione del Tribunale di Napoli è conforme all'interpretazione di questa Corte, secondo cui l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poichè impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà (Cass. Sez. 2, 24/02/2004, n. 3640).
Il ricorso attribuisce alla sentenza impugnata l'errore di aver sommato i periodi di sosta riferibili ai due convenuti, ma questo ragionamento non trova riscontro nella motivazione del Tribunale di Napoli. Si insiste poi dal ricorrente sul fatto che le sue soste fossero saltuarie e durassero pochi minuti, ma ciò vale ad invocare inammissibilmente dalla Corte di cassazione un diverso apprezzamento di fatto rispetto a quello compiuto dal giudice di merito, operazione che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, non consentita in sede di legittimità.
E' poi decisivo osservare che l'art. 1102 c.c., sull'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante alla comunione, non pone alcun margine minimo di tempo e di spazio per l'operatività delle limitazioni del predetto uso, sicchè può costituire abuso anche l'occupazione per pochi minuti di una porzione del cortile comune, ove comunque impedisca agli altri condomini di partecipare al godimento dello spazio oggetto di comproprietà (Cass. Sez. 2, 07/07/1978, n. 3400).
Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente T.P..
Non occorre provvedere al riguardo per l'altra intimata V.V., che non ha svolto attività difensive.
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 - quater - dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione rigettata.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente T.P. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 - quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 - bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019
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Sentenza tratta dalla Banca Dati Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre che si ringrazia per la gentile disponibilità.
Avv. Jacopo Alberghi