Diritto civile

Danni Punitivi (cd. Punitive Damages) ammissibili nell’ordinamento italiano. Cassazione civile, Sezioni Unite, n. 16601 del 05/07/2017

Con la sentenza in commento, i Giudici delle Sezioni Unite, sancendo la natura polifunzionale della responsabilità civile, hanno affermato il seguente principio di diritto: “nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è, quindi, incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi. Il riconoscimento di una sentenza straniera che contenga una pronuncia di tale genere deve, però, corrispondere alla condizione che essa sia stata resa nell'ordinamento straniero su basi normative che garantiscano la tipicità delle ipotesi di condanna, la prevedibilità della stessa e i limiti quantitativi, dovendosi avere riguardo, in sede di delibazione, unicamente agli effetti dell'atto straniero e alla loro compatibilità con l'ordine pubblico”.

Trattasi di pronuncia potenzialmente rivoluzionaria che potrebbe (rectius dovrebbe) avere significativi risvolti pratici in tema di responsabilità civile e risarcimento danni.

Il fatto. La fattispecie fattuale, alla base della decisione in commento, trae origine dalla richiesta di delibazione di alcune sentenze americane avanzata, presso la Corte d'Appello di Venezia, da una società statunitense attiva nella rivendita di caschi da moto.

La predetta società americana richiedeva al Giudice veneziano la delibazione di tre sentenze pronunciate negli Stati Uniti d'America, passate in giudicato, al fine renderle esecutive in Italia, ai sensi dell'art. 64, L. n. 218/1995.

Con tali pronunce i giudici statunitensi avevano accolto la domanda di garanzia promossa dalla società americana rivenditrice di caschi, in relazione ad un indennizzo di un milione di Euro transattivamente corrisposto ad un motociclista che aveva subito danni alla persona in un incidente avvenuto durante una gara di motocross, per un asserito vizio del casco, prodotto da una società italiana e rivenduto dalla predetta società americana.

Nel giudizio promosso dal danneggiato anche nei confronti della società importatrice del casco, la società americana rivenditrice aveva accettato la proposta transattiva del motociclista, e il giudice americano, successivamente, aveva ritenuto che quest’ultima dovesse essere manlevata dalla produttrice italiana.

La società americana otteneva dalla Corte di appello di Venezia (sentenza 3 gennaio 2014) il riconoscimento delle suddette pronunce, a norma della L. n. 218/1995, art. 64, avendo la produttrice italiana accettato la giurisdizione straniera.

A questo punto la società italiana, soccombente, proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la non ricevibilità dal nostro ordinamento delle sentenze straniere relative a danni punitivi.

In presenza di un potenziale contrasto sulla questione, la stessa veniva rimessa alla cognizione delle Sezioni Unite.

Il pregresso giurisprudenziale. Nel 2007, con sentenza n. 1183/07, la Cassazione aveva sancito il rigetto di riconoscimento di una pronuncia in materia, affermando l'estraneità al risarcimento del danno dell'idea di punizione e di sanzione, nonché l'indifferenza della condotta del danneggiante.

In tale occasione la Suprema Corte confermava il carattere monofunzionale della responsabilità civile, avente la sola funzione compensativa, tesa a "restaurare la sfera patrimoniale" del soggetto leso.

Anche nel 2012, con sentenza n. 1781/2012, la Suprema Corte ribadiva l'esclusione del carattere sanzionatorio della responsabilità civile.

Le Sezioni Unite, in occasione della sentenza in commento, con un percorso logico, chiaro e ben argomentato, hanno ritenuto che questa analisi sia superata e non possa più costituire, in questi termini, idoneo filtro per la valutazione circa l’ammissibilità (o meno) nel nostro ordinamento dei cd. punitive damages.

La soluzione delle Sezioni Unite 2017. Già da qualche anno le Sezioni Unite (cfr. S.U. n. 9100/2015) hanno messo in luce che la funzione sanzionatoria del risarcimento del danno non è più "incompatibile con i principi generali del nostro ordinamento, come una volta si riteneva, giacché negli ultimi decenni sono state qua e là introdotte disposizioni volte a dare un connotato lato sensu sanzionatorio al risarcimento".

Le Sezioni Unite, tuttavia, hanno precisato che questo connotato sanzionatorio è ammissibile solo nei casi in cui vi sia una adeguata copertura normativa, ovvero quando una "qualche norma di legge chiaramente lo preveda, ostandovi il principio desumibile dall'art. 25 Cost., comma 2, nonché dall'art. 7 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali".

La sopra richiamata “avvertenza” deve essere integrata con il richiamo, altrettanto pertinente, all'art. 23 Cost., il quale, come è noto, prevede una riserva di legge e dispone che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

In sintesi estrema, secondo la Suprema Corte, può dirsi che, accanto alla preponderante e primaria funzione compensativo riparatoria della responsabilità civile (che immancabilmente lambisce la deterrenza), è emersa una natura polifunzionale, che si proietta verso più aree, tra cui sicuramente principali sono quella preventiva (o deterrente o dissuasiva) e quella sanzionatorio-punitiva.

Indispensabile riscontro di questa descrizione è il panorama normativo che si è venuto componendo. A titolo meramente esemplificativo, e non esaustivo, si pensi a: D.Lgs. n. 206/2005, art. 140, comma 7, c.d. Codice del Consumo, dove si tiene conto della "gravità del fatto"; art. 709 ter c.p.c., nn. 2 e 3, introdotto dalla L. n. 54/2006, per le inadempienze agli obblighi di affidamento della prole; art. 614 bis c.p.c., introdotto dalla L. n. 69/2009, art. 49, il quale contempla il potere del giudice di fissare una somma pecuniaria per ogni violazione ulteriore o ritardo nell'esecuzione del provvedimento, "tenuto conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato o prevedibile e di ogni altra circostanza utile"; D.Lgs. n. 7/2016 (artt. 3 - 5), che ha abrogato varie fattispecie di reato previste a tutela della fede pubblica, dell'onore e del patrimonio e, se i fatti sono dolosi, ha affiancato al risarcimento del danno, irrogato in favore della parte lesa, lo strumento afflittivo di sanzioni pecuniarie civili, con finalità sia preventiva che repressiva; art. 96, comma 3, c.p.c., che consente la condanna della parte soccombente al pagamento di una "somma equitativamente determinata", in funzione sanzionatoria dell'abuso del processo.

Da tali fattispecie normative le Sezioni Unite traggono spunto per affermare la natura polifunzionale della responsabilità civile (riparativa, deterrente e sanzionatoria).

Come ben illustrato dalla Suprema Corte, ciò non significa che l'istituto aquiliano abbia mutato la sua essenza e che questa curvatura deterrente/sanzionatoria consenta ai giudici italiani, che pronuncino in materia di danno extracontrattuale, e/o contrattuale, di imprimere soggettive accentuazioni ai risarcimenti che vengono liquidati.

Ogni imposizione di prestazione personale esige una "intermediazione legislativa", in forza del sopra richiamato principio di cui all'art. 23 Cost., correlato agli artt. 24 e 25, che pone una riserva di legge quanto a nuove prestazioni patrimoniali e preclude un incontrollato soggettivismo giudiziario.

Questo inquadramento del tema illumina la questione della compatibilità con l'ordine pubblico di sentenze di condanna per punitive damages.

Come è noto, la nozione di "ordine pubblico", che costituisce un limite all'applicazione della legge straniera, ha subito profonda evoluzione. Da "complesso dei principi fondamentali che caratterizzano la struttura etico-sociale della comunità nazionale in un determinato periodo storico, e nei principi inderogabili immanenti nei più importanti istituti giuridici" (cfr. Cass. n. 680/84) è divenuto il distillato del "sistema di tutele approntate a livello sovraordinato rispetto a quello della legislazione primaria, sicché occorre far riferimento alla Costituzione e, dopo il trattato di Lisbona, alle garanzie approntate ai diritti fondamentali dalla Carta di Nizza, elevata a livello dei trattati fondativi dell'Unione Europea dall'art. 6 T.U.E.” (cfr. Cass. 1302/13).

La sentenza straniera che sia applicativa di un istituto non regolato dall'ordinamento nazionale, quand'anche non ostacolata dalla disciplina europea, “deve misurarsi con il portato della Costituzione e di quelle leggi che, come nervature sensibili, fibre dell'apparato sensoriale e delle parti vitali di un organismo, inverano l'ordinamento costituzionale”.

Secondo la Suprema Corte, non ci si potrà attestare ogni volta dietro la ricerca di una piena corrispondenza tra istituti stranieri e istituti italiani. Non avrebbe utilità chiedersi se la ratio della funzione deterrente della responsabilità civile nel nostro sistema sia identica a quella che genera i punitive damages.

Schematicamente si può dire che, superato l'ostacolo connesso alla natura della condanna risarcitoria, l'esame va portato sui presupposti che questa condanna deve avere per poter essere importata nel nostro ordinamento senza confliggere con i valori che presidiano la materia, valori riconducibili agli artt. da 23 a 25 Cost..

Come si è detto ogni prestazione patrimoniale di carattere sanzionatorio o deterrente non può essere imposta dal giudice italiano senza espressa previsione normativa, similmente dovrà essere richiesto per ogni pronuncia straniera.

Ciò significa che nell'ordinamento straniero (non per forza in quello italiano, che deve solo verificare la compatibilità della pronuncia resa all'estero) deve esservi un ancoraggio normativo per una ipotesi di condanna a risarcimenti punitivi.

Il principio di legalità postula che una condanna straniera a "risarcimenti punitivi" provenga da fonte normativa riconoscibile, cioè che il giudice a quo abbia pronunciato sulla scorta di basi normative adeguate, che rispondano ai principi di tipicità e prevedibilità.

Deve esservi insomma una legge, o simile fonte, che abbia regolato la materia "secondo principi e soluzioni" di quel paese, con effetti che risultino non contrastanti con l'ordinamento italiano.

Ne discende che dovrà esservi precisa perimetrazione della fattispecie (tipicità) e puntualizzazione dei limiti quantitativi delle condanne irrogabili (prevedibilità).

Resta poi nella singolarità di ogni ordinamento, a seconda dell'attenzione portata alla figura dell'autore dell'illecito o a quella del danneggiato, la declinazione dei risarcimenti punitivi e il loro ancoraggio a profili sanzionatori o più strettamente compensatori, che risponderà verosimilmente anche alle differenze risalenti alla natura colposa o dolosa dell'illecito.

Sulla base di tali presupposti, considerata la normativa statunitense che prevede l’applicabilità di risarcimenti punitivi, le Sezioni Unite della Suprema Corte, confermando la legittimità della delibazione delle sentenze de quo, ha enunciato il seguente principio di diritto:

nel vigente ordinamento, alla responsabilità civile non è assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiché sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile. Non è quindi ontologicamente incompatibile con l'ordinamento italiano l'istituto di origine statunitense dei risarcimenti punitivi (…)”.