La pronuncia in esame riguarda il caso di un paziente che aveva subito, tra il 1994 e il 1998, tredici ricoveri senza che fosse diagnosticata una stenosi aortica.
L'omessa diagnosi aveva precluso la possibilità di effettuare un intervento di sostituzione valvolare, che avrebbe permesso una completa guarigione.
Assumevano, in particolare, gli allora attori che la morte del paziente era il risultato di un "lungo calvario", dal momento che il M., sebbene ricoverato per ben tredici volte, in soli tre anni, veniva curato per una bronchite cronica ostruttiva riacutizzata, senza che fosse compiuta una tempestiva diagnosi della sua effettiva patologia, ciò che ebbe a privarlo della possibilità di sottoporsi ad un tempestivo intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica.
Radicato il giudizio in primo grado, lo stesso veniva istruito anche attraverso lo svolgimento di una consulenza tecnica d'ufficio, la quale confermava che, a causa di un misconoscimento diagnostico, il paziente non fu adeguatamente curato per la reale patologia sofferta, e ciò già a partire dal primo ricovero.
La relazione dell'ausiliario, inoltre, evidenziava come la ritardata diagnosi della cardiopatia fosse stata causa del decesso, dal momento che un intervento tempestivo avrebbe consentito "alte percentuali di successo, con conseguente completa guarigione".
Su tali basi, dunque, il primo giudice accoglieva la domanda risarcitoria.
Esperito gravame dell'Azienda Ospedaliera, il giudice di seconde cure, oltre ad accogliere, per quanto qui ancora di interesse, l'appello incidentale con cui l’attrice aveva lamentato la disposta compensazione delle spese del primo grado di giudizio, riduceva notevolmente l'entità del risarcimento del danno "iure hereditatis", portandola, dall'iniziale cifra di Euro 798.977,00, a quella di Euro 150.280,00, sul rilievo che la liquidazione operata dal Tribunale fosse avvenuta, erroneamente, utilizzando "i criteri stabiliti per determinare il danno biologico da invalidità permanente (al 100%), notoriamente parametrato alla presumibile durata della vita del danneggiato", mentre si sarebbe "dovuto tenere conto della vita effettiva del M. utilizzando i criteri stabiliti per la liquidazione del danno da inabilità temporanea assoluta".
Avverso la decisione della Corte catanzarese gli attori proponeva ricorso per cassazione che trovava accoglimento nei seguenti termini:
“(…) Il danno subito dalla vittima, nell'ipotesi in cui la morte sopravvenga dopo apprezzabile lasso di tempo dall'evento lesivo, è configurabile e trasmissibile agli eredi nella duplice componente di danno biologico "terminale", cioè di danno biologico da invalidità temporanea assoluta, e di danno morale consistente nella sofferenza patita dal danneggiato che lucidamente e coscientemente assiste allo spegnersi della propria vita; la liquidazione equitativa del danno in questione va effettuata commisurando la componente del danno biologico all'indennizzo da invalidità temporanea assoluta e valutando la componente morale del danno non patrimoniale mediante una personalizzazione che tenga conto dell'entità e dell'intensità delle conseguenze derivanti dalla lesione della salute in vista del prevedibile exitus”.
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Sentenza tratta dalla Banca Dati Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre che si ringrazia per la gentile disponibilità.
Avv. Jacopo Alberghi
Foro della Spezia