La pronuncia in esame riguarda il caso di una paziente affetta da un quadro di comorbilità pluripatologica che purtroppo decedeva in esito a complicanze legate a colonscopia con finalità diagnostica eseguita da un medico specialista.
Il medico in questione, in primo grado, era ritenuto colpevole del reato p. e p. dall'art. 589 c.p. perché avrebbe eseguito nei confronti della paziente l'esame di colonscopia con finalità diagnostica, a seguito della manifestazione di "dolore continuo emiaddome destro", per colpa generica consistita in negligenza, imprudenza e imperizia, nonché per colpa specifica consistita nell'eseguire una colonscopia diagnostica non indicata secondo le linee guida, né proporzionata alla specificità del caso, tenuto conto della sintomatologia aspecifica lamentata (una persistente emiaddominalgia destra), dell'età avanzata della paziente (90 anni), delle comorbilità e dell'assenza di significative alterazioni cliniche (quali calo ponderale, anemia ferropriva, modificazioni dell'alvo, sanguinamenti gastroenterici, ecc.), omettendo di effettuare un preliminare approfondimento diagnostico mediante metodiche meno invasive, più proporzionate e prive di rischi (ricerca del sangue occulto nelle feci, ecografia, tomografia computerizzata, risonanza magnetica, colontomografia), omettendo altresì di eseguire una adeguata preparazione intestinale al fine di non inficiare l'esame diagnostico, fondato sull'attenta visualizzazione della parete intestinale di cui si devono cogliere le eventuali micro e macro lesioni, e proseguendo l'indagine endoscopica anche dopo avere rilevato la presenza immediatamente apprezzabile nella fase iniziale di introduzione dello strumento di "scadentissima toilette intestinale" (per la presenza di materiale fecale), quale circostanza che rendeva prevedibile e concreta la difficoltà nella progressione dello strumento endoscopica e che rendeva necessario rinviare l'indagine (qualora ritenuta opportuna) solo all’esito di adeguata "toilette", omettendo infine di adottare, dopo aver scelto di proseguire l'indagine, le maggiori cautele che si rendevano necessarie nelle fasi di manovra dell'endoscopio flessibile, determinando una lacerazione della parete—colica in una sede priva di alterazioni anatomopatologiche, di condizioni di fragilità ovvero di aree di minor resistenza parietale per trauma provocato dall'errata manovra dell'endoscopio, cagionando così la morte della paziente per "insufficienza multiorgano, quale evento terminale di una rapida evoluzione di shock settico conseguente a perforazione sigmoidea iatrogena e conseguente peritonite stercoracea diffusa in soggetto "grande anziano", affetto da quadro di comorbilità pluripatologica”.
La predetta pronuncia veniva confermata in sede di appello.
La Suprema Corte, interessata del gravame, riteneva correttamente motivato il convincimento in merito al nesso di causalità tra la colpa medica e il decesso, formulato dalla Corte di Appello in base ad iter logico congruo, non manifestamente illogico e corretto in diritto.
Del pari riteneva infondata la doglianza in termini di omessa considerazione delle alternative argomentazioni mediche svolte dal consulente di parte, in asserita violazione della regola del ragionevole dubbio. Questo poiché “il giudice di appello ha compiutamente analizzato le ipotesi alternative prospettate, escludendole alla luce delle più persuasive argomentazioni tecnicoscientifiche fornite dai consulenti del pubblico ministero e dando atto delle ragioni per le quali il medesimo le riteneva tali. Il che porta ad escludere la manifesta illogicità della motivazione anche sotto tale profilo. In proposito, va ricordato che n questa sede di legittimità, perché sia ravvisabile la manifesta illogicità della motivazione ai sensi dell'art. 606, co. 1, lett. e) cod. proc. pen. è necessario che la ricostruzione dei fatti prospettata dall'imputato che intenda far valere l'esistenza di un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza, contrastante con il procedimento argomentativo seguito dal giudice, sia inconfutabile e non rappresentativa soltanto di un'ipotesi alternativa a quella ritenuta nella sentenza impugnata, dovendo il dubbio sulla corretta ricostruzione del fatto reato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo fare riferimento ad elementi sostenibili, cioè desunti dai dati acquisiti al processo, e non meramente ipotetici o congetturali seppure plausibili (cfr. ex multis Sez. 2, n. 3817 del 9/10/2019, dep. 2020, Mannile, Rv. 278237; conf. Sez. 6, n. 10093 del 5/12/2018, dep. 2019, Esposito, Rv. 275290)”.
La Suprema Corte, nel riconfermare quindi la responsabilità medica, ha espresso il seguente principio di diritto:
“in tema di colpa professionale medica, in caso di cooperazione multidisciplinare, anche se non svolta contestualmente, ove venga richiesto un esame invasivo, il medico specialista chiamato ad effettuarlo deve necessariamente valutare, oltre alla presenza di fattori che possano condizionare negativamente l'esame stesso, anche la bontà della scelta diagnostica operata dal medico richiedente in relazione alla sintomatologia lamentata dal paziente, in presenza o meno di elementi ed indagini precedenti che avvalorino il sospetto della malattia ipotizzata”.
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Sentenza tratta dalla Banca Dati Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre che si ringrazia per la gentile disponibilità.
Avv. Jacopo Alberghi
Foro della Spezia