Interessante pronunciamento della Suprema Corte inerente all’annosa questione circa la validità, o meno, della clausola contenuta in polizza assicurativa contro i danni che, a fronte di un risparmio sul premio assicurativo, determina in capo all’assicurato l’obbligo di rivolgersi ad una carrozzeria convenzionata con la propria assicurazione per la riparazione del veicolo danneggiato.
La vicenda vede il rigetto in primo grado della domanda attorea di condanna dell’assicuratore alla differenza che l’attrice aveva dovuto versare all’autoriparatore cui aveva ceduto il credito per il ripristino del proprio veicolo danneggiato da una grandinata.
L’autoriparatore, dopo aver riparato l’auto, revocava la cessione del credito deducendo che l’impresa assicuratrice – invocando una clausola di polizza – avesse rimborsato all’autoriparatore una somma inferiore all’importo della riparazione, in virtù del fatto che parte istante non si sarebbe rivolta a un’autocarrozzeria convenzionata, come era invece espressamente previsto in polizza.
Dopo la conferma in secondo grado, la Corte di Cassazione – collocandosi sul solco già tracciato da altri propri precedenti (cfr. Cass. civ. 11757/2018) – ha approfondito in questa sede il tema della validità della clausola che prevede il risarcimento in forma specifica: data per presupposta l’ammissibilità dell’accordo tra danneggiante e danneggiato circa tale tipologia di risarcimento, ha sottolineato come detta clausola rappresenti un contratto innominato la cui causa è il risarcimento di un danno, meritevole di tutela, come il sottostante interesse dei contraenti ai sensi dell’art. 1322, comma 2, cod. civ., integrando un valido ed efficace accordo preventivo in merito alle scelte delle modalità risarcitorie.
La pronuncia in esame ha quindi evinto da tale percorso logico e normativo la validità della clausola apposta nel contratto di assicurazione contro i danni che prevede l’indennizzo in forma specifica, ovverosia tramite la riparazione del bene leso da soggetti individuati dalla compagnia assicurativa, producendo un effetto di sostanziale rimozione dell’evento di danno e degli effetti pregiudizievoli causati; al contrario del risarcimento per equivalente che, come è noto, realizza una compensazione degli effetti economici negativi dell’evento di danno.
Così ragionando, gli Ermellini hanno escluso un’ipotetica vessatorietà della clausola, sia in virtù del fatto che essa riproduce una norma di legge, l’art. 2058 cod. civ., sia perché hanno ritenuto che la stessa non limiti la responsabilità dell’assicuratore e aggravi quella dell’assicurato, imponendogli oneri eccessivi e ingiustificati, ma semplicemente circoscriva l’oggetto del contratto assicurativo.
Ulteriore argomento addotto – anche se indirettamente – a sostegno dell’affermata meritevolezza di tutela della clausola de qua è che la sua concreta operatività va stabilita avendo riguardo della posizione del debitore-assicuratore, atteso che, nel caso in cui l’applicazione risulti per costui in concreto eccessivamente onerosa, egli potrà avvalersi della possibilità di risarcire il danno per equivalente, come previsto dal secondo comma dell’art. 2058 cod. civ., senza che tale scelta pregiudichi la posizione del creditore.
La Corte ha conseguentemente respinto l’idea secondo la quale il risarcimento per equivalente possa essere maggiormente satisfattivo per il creditore, evidenziando come, invero, tale clausola offra all’assicurato la facoltà di scegliere liberamente se ottenere o meno una riduzione dell’ammontare del premio, senza creare squilibri di obblighi e diritti a suo carico.
Avv. Jacopo Alberghi e Dott.ssa Alessia Cassone