Diritto civile

Quando il proprietario del veicolo è esente da responsabilità per non aver comunicato i dati del conducente in caso di violazione del Codice della Strada: Cass. n. 9555 del 18.4.2018

Con la pronuncia in commento, i Giudici della Suprema Corte hanno chiarito che ai fini dell'applicazione dell'art. 126 bis codice della strada occorre distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all'invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la cui idoneità ad escludere la presunzione relativa di responsabilità a carico del dichiarante deve essere vagliata dal giudice di volta in volta, con apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità.

Trattasi di questione fortemente dibattuta in giurisprudenza, la stessa Suprema Corte ha avuto modo di affermare in varie occasioni che (cfr. Cass. n. 12842/2009) in tema di violazioni alle norme del Codice della Strada, il proprietario di un veicolo, in quanto responsabile della circolazione dello stesso nei confronti della P.A. o dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all'autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta, al fine di contestare un'infrazione amministrativa.

Come è noto, l'inosservanza di tale dovere di collaborazione è sanzionata, in base al combinato disposto degli artt. 126 bis e 180 C.d.S., alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 27 del 2005, senza che il proprietario possa sottrarsi legittimamente a tale obbligo in base al semplice rilievo di essere proprietario di numerosi automezzi o di avere un elevato numero di dipendenti che ne fanno uso (cfr. Cass. n. 21957/2014, Cass. n. n.13748/2007, nonché da ultimo Cass. n. 29593/2017, secondo cui il proprietario del veicolo sarebbe tenuto sempre a conoscere l'identità dei soggetti ai quali affida la conduzione e, di conseguenza, a comunicare tale identità all'autorità amministrativa che gliene faccia legittima richiesta).

Come correttamente chiariscono i Giudici di legittimità nella sentenza in commento, trattasi però di orientamento che deve essere precisato alla luce di quanto espressamente affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza interpretativa n. 165 del 2008.

Il Giudice delle Leggi in motivazione ha infatti affermato “che debba essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di esonerarsi da responsabilità, dimostrando l'impossibilità di rendere una dichiarazione diversa da quella "negativa" (cioè a dire di non conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione), è una conclusione che discende anche dalla necessità di offrire della censurata disposizione, nella parte in cui richiama l'art. 180 C.d.S., comma 8, un'interpretazione coerente proprio con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il "rifiuto" della condotta collaborativa (e non già la mera omessa collaborazione) necessaria ai fini dell'accertamento delle infrazioni stradali. Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l'ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare - per fugare "persistenti dubbi nell'interpretazione del testo originario dell'art. 126 bis C.d.S., comma 2" - che la scelta in favore di "un'opzione ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi di omessa comunicazione dei "dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione", presenterebbe una dubbia compatibilità con l'art. 24 Cost."; essa, infatti, "non consentendo in alcun modo all'interessato di sottrarsi all'applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità", con conseguente "lesione del diritto di difesa", dal momento che risulterebbe preclusa all'interessato "ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta".

Deve quindi reputarsi che, conclude la Suprema Corte, se resta in ogni caso sanzionabile la condotta di chi semplicemente non ottemperi alla richiesta di comunicazione dei dati personali e della patente del conducente, viceversa laddove la risposta sia stata fornita, ancorché in termini negativi, resta devoluta alla valutazione del giudice di merito la verifica circa l'idoneità delle giustificazioni fornite dall'interessato ad escludere la presunzione di responsabilità che la norma pone a carico del dichiarante.

Di seguito il testo integrale della sentenza: Cass. Ordinanza 9555 del 18.4.2018

 

Avv. Jacopo Alberghi