La pronuncia in esame riguarda il caso di uno sfortunato paziente trasferito da un ospedale all’altro e purtroppo deceduto nel nosocomio di destinazione.
Due medici finivano dunque sotto processo penale per omicidio colposo (art. 589 c.p.), con l'accusa di aver cagionato la morte di detto paziente, intervenuta in seguito a “tromboembolia polmonare massiva da trombosi della vena femorale con blocco del flusso polmonare, impedimento della pompa cardiaca e collasso cardiaco destro”.
Al fine di delineare le eventuali responsabilità dei sanitari, punto centrale della controversia è l'accertamento del nesso causale nei reati omissivi impropri.
Come ripetutamente affermato dalla Suprema Corte, in sede penale, al fine di stabilire la sussistenza del nesso di causalità, posta in premessa una spiegazione causale dell'evento sulla base di una legge statistica o universale di copertura sufficientemente valida e astrattamente applicabile al caso concreto, occorre successivamente verificare, attraverso un giudizio di alta probabilità logica, l'attendibilità, in concreto, della spiegazione causale così ipotizzata.
Bisogna cioè verificare sulla base delle evidenze processuali che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione doverosa omessa (o al contrario non compiuta la condotta commissiva) assunta a causa dell'evento, esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale prossima alla certezza, non si sarebbe verificato, oppure sarebbe avvenuto molto dopo, o avrebbe comunque avuto minore intensità lesiva.
In altri termini, in tema di reato colposo omissivo improprio, con particolare riguardo alla materia della responsabilità professionale dell'esercente la professione sanitaria, il nesso causale può essere ravvisato solo quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica -universale o statistica-, si accerti che, ipotizzandosi come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell'evento "hic et nunc", questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva; non è, però, consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge statistica la conferma, o meno, dell'ipotesi accusatoria sull'esistenza del nesso causale, poichè il giudice deve verificarne la validità nel caso concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell'evidenza disponibile, così che, all'esito del ragionamento che abbia altresì escluso l'interferenza di fattori alternativi, risulti giustificata la conclusione che la condotta omissiva del medico è stata condizione necessaria dell'evento lesivo con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica prossime alla certezza (cfr. Cass. Pen. N. 2865/2019).
Nel caso in esame la Suprema Corte ha dunque statuito la seguente massima: “in tema di omicidio colposo, sussiste il nesso di causalità tra l'omessa adozione da parte del medico di idonee misure atte a rallentare il decorso della patologia, colposamente non diagnosticata, ed il decesso del paziente tutte le volte in cui risulti accertato, secondo il principio di controfattualità che la condotta doverosa, ove serbata, avrebbe inciso positivamente sulla sopravvivenza del paziente, nel senso che l'evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato in epoca posteriore o con minore intensità lesiva”.
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Sentenza tratta dalla Banca Dati Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre che si ringrazia per la gentile disponibilità.
Avv. Jacopo Alberghi