Diritto civile

Responsabilità medica e azione risarcitoria degli eredi del paziente deceduto: natura extracontrattuale della responsabilità della struttura, onere della prova e valenza del mezzo presuntivo (Cass. civ., Ord. n. 35062 del 30.12.2024)

Interessante e recentissimo pronunciamento quello della Suprema Corte che lo scorso dicembre ha ribadito ancora una volta, in maniera molto chiara, la ripartizione dell’onere probatorio in ambito di responsabilità sanitaria extracontrattuale.

Come è noto, il paziente che intenda agire per il risarcimento del danno asseritamente scaturito durante la permanenza all’interno di una struttura ospedaliera può decidere se agire contro la struttura medesima oppure verso il medico curante.

A seconda dell’opzione, si avranno diversi tipi di responsabilità, con conseguente divergenza in punto di termini di prescrizione dell’azione e di regime probatorio: nel caso in cui il soggetto decida di citare in giudizio la struttura, la responsabilità sarà di tipo contrattuale, che vede un termine prescrizionale di 10 anni e un onere della prova alleggerito, dovendo egli provare solamente il danno patito e il nesso di causa esistente tra questo e l’operato del medico; nell’ipotesi di azione contro il sanitario, al contrario, la responsabilità sarà di tipo extracontrattuale, regime che prevede un termine di prescrizione di 5 anni e un onere probatorio interamente addossato al paziente creditore (scelta di regola non consigliabile).

Discorso parzialmente diverso va fatto in relazione al danno da perdita del rapporto familiare, come nel caso di specie: in questa ipotesi, infatti, non vi è potere discrezionale della parte che agisce in giudizio (gli eredi del paziente deceduto), soggiacendo i familiari della vittima al regime aquiliano, a prescindere da chi sia il soggetto convenuto.

Ciò su cui la pronuncia in esame si sofferma è, in particolare, il compendio probatorio di cui costoro possono servirsi: la Corte ricorda come, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, spetti agli eredi-attori l’onere di procurare la prova di tutti gli elementi costitutivi della responsabilità extracontrattuale della struttura, pur riconoscendo che una siffatta prova diretta non sia agevole da fornire.

A questo proposito, pertanto, i giudici sottolineano come la prova, che grava sull’attore danneggiato, del nesso causale intercorrente tra la specifica trasfusione ed il contagio da virus HCV, può essere fornita – ove risulti provata l’idoneità di tale condotta a provocare il contagio – anche con il ricorso alle presunzioni.

In tema di risarcimento dei danni subìti in conseguenza di un'infezione contratta in ambiente ospedaliero, difatti, “la prova della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi (compreso quello soggettivo) della responsabilità – nella specie di natura extracontrattuale – della struttura sanitaria, che grava sul soggetto danneggiato, può essere fornita, in ossequio al principio della vicinanza della prova, anche con il ricorso alle presunzioni semplici, in difetto di predisposizione (o anche solo di produzione in giudizio), da parte della struttura sanitaria, della documentazione relativa all'adozione di tutte le misure utili alla prevenzione del contagio”.

Qui lo snodo interessante del provvedimento in esame: la Corte evidenzia che, tuttavia, “nel caso delle infezioni nosocomiali, l’addossare alla struttura sanitaria la prova ‘liberatoria’ sulla adozione delle misure atte a prevenire il contagio non comporta un’inversione dell’onere di prova, in violazione del disposto dagli artt. 2697 e 2043 c.c. (o, per altro verso, una impropria applicazione dell’art. 1218 c.c.), ma deve essere inteso come onere di prova ‘contraria’ volto a contrastare la valenza e l’efficacia probatoria delle anzidette presunzioni che già operano in favore dell’attore in punto di dimostrazione degli elementi costitutivi della fattispecie di responsabilità aquiliana e, dunque, anche di quello soggettivo”.

Continua la Corte precisando che “posto il ‘fatto ignoto’ di ‘come e quando’ l’infezione era stata contratta, la Corte territoriale ha correttamente escluso che, ai fini dell’affermazione di responsabilità della AULSS, potesse operare la ‘presunzione legale’ di cui all’art. 1218 c.c. – e, dunque, rispetto alla fattispecie di responsabilità ex art. 2043 c.c., che potesse invertirsi l’onere della prova, così da far gravare sulla struttura sanitaria la dimostrazione dell’assenza di ‘colpa’ (rectius: dell’esatto adempimento della prestazione sanitaria o di una ‘causa non imputabile’ dell’inadempimento) – , ma ha erroneamente ritenuto che, al riguardo, non potessero operare le presunzioni ‘semplici’, unitamente al principio della vicinanza della prova, muovendo dagli stessi ‘fatti noti’ che avevano già circostanziato la dimostrazione della derivazione nosocomiale del contagio: dato statistico significativo riguardante i casi di Klebsiella verificatisi proprio presso l’Ospedale […]; frequenti accessi in ospedale della paziente per dialisi; accesso della paziente in ospedale proprio in prossimità dell’epoca del decesso; non rilevanza della situazione di comorbilità e fragilità della paziente”.

In conclusione, secondo la Suprema Corte, ammessa l’utilizzabilità dello strumento presuntivo, la stessa struttura convenuta avrebbe potuto – e dovuto – contrastare l’efficacia di quelle presunzioni, fornendo proprio la prova “contraria” di aver predisposto ogni adeguata ed efficace misura preventivo-cautelativa contro il contagio.

Avv. Jacopo Alberghi e Dott.ssa Alessia Cassone