Diritto civile

Risarcimento danni derivante da responsabilità civile non cumulabile con quanto dovuto a titolo di indennizzo assicurativo

Cassazione civile, Sez. Un., 22/5/2018, n. 12565, Presidente: G. Mammone, Relatore: A. Giusti

Una sentenza sicuramente destinata a far discutere. La Suprema Corte, nella sua più autorevole composizione, con la recentissima sentenza n. 12565 del 22.5.2018 ha espresso la seguente massima: “il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto”.

Il fatto in breve. La questione rimessa all'esame delle Sezioni Unite consisteva nello stabilire se, nella liquidazione del danno da fatto illecito, dal computo del pregiudizio sofferto dalla compagnia aerea titolare del velivolo abbattuto nel disastro aviatorio di Ustica andasse defalcato quanto essa abbia ottenuto a titolo di indennizzo assicurativo per la perdita dell'aeroplano.

Con sentenza definitiva depositata il 4.10.2013, la Corte di Appello di Roma condannava il Ministero della difesa ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, in solido tra loro, al pagamento, in favore della Aerolinee Itavia s.p.a., in amministrazione straordinaria, della somma di Euro 265.154.431,44, oltre interessi legali dalla sentenza al saldo, nonché al pagamento dei 3/4 delle spese processuali di tutti i giudizi, con compensazione del restante 1/4.

Con detta sentenza, la Corte territoriale negava, però, il diritto dell'Itavia a vedersi risarcito: sia il danno per la perdita dell'aeromobile, in quanto la società attrice aveva incassato un indennizzo assicurativo da parte dell'Assitalia ammontante a lire 3.800.000.000, mentre il valore del velivolo al momento del sinistro, come accertato dal c.t.u., era di lire 1.586.510.540; sia il danno conseguente alla revoca delle concessioni di volo.

In particolare, con riguardo alla questione del cumulo tra indennizzo assicurativo e risarcimento, la Corte d'appello affermava: che nella liquidazione del danno da illecito aquiliano la somma eventualmente già versata alla vittima dall'assicuratore deve essere detratta dall'ammontare complessivo del danno in quanto, se fosse consentito al danneggiato di cumulare indennizzo e risarcimento, questi realizzerebbe un ingiusto arricchimento; che il pagamento del premio assicurativo non può bastare per trasformare il sinistro in una occasione di lucro; che l'ammissibilità del cumulo di indennizzo e risarcimento neppure può darsi nei casi, come quello di specie, in cui l'assicuratore del danneggiato non abbia manifestato la volontà di surrogarsi a quest'ultimo nei confronti del responsabile, ex art. 1916 c.c.: e ciò sul rilievo che la surrogazione dell'assicuratore non interferisce in alcun modo con il problema dell'esistenza del danno, essendo del tutto irrilevante che sia stato esercitato o meno tale diritto, giacchè non può mai essere risarcito un danno non più esistente per essere stato indennizzato, almeno fino all'ammontare dell'indennizzo assicurativo.

 

Per la cassazione delle sentenze, non definitiva e definitiva, della Corte di Appello di Roma proponevano ricorso il Ministero della difesa ed il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, affidando le sorti dell'impugnazione a quattro motivi, illustrati da memorie.

Resistevano con controricorso la Aerolinee Itavia S.p.A., in amministrazione straordinaria, proponendo, altresì, ricorso incidentale avverso la sentenza definitiva sulla base di quattro motivi, anch'essi illustrati da memorie.

La Terza Sezione della Suprema Corte, con ordinanza interlocutoria 22 giugno 2017, n. 15534, rimetteva gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione, sollevata con il primo motivo del ricorso incidentale, se nella liquidazione del danno da fatto illecito debba tenersi conto in detrazione del vantaggio sotto forma di indennizzo assicurativo che il danneggiato abbia comunque ottenuto in conseguenza di quel fatto.

Il parere delle S.U.. Sulla questione se dall'ammontare dei danni risarcibili dal danneggiante debba essere detratta l'indennità assicurativa derivante dall'assicurazione contro i danni che il danneggiato abbia percepito in conseguenza del fatto illecito, ricorda correttamente la Suprema Corte, si confrontano due orientamenti.

Secondo un primo indirizzo, indennità assicurativa e risarcimento del danno sono cumulabili se l'assicuratore non esercita la surrogazione: poiché la surrogazione ai sensi dell'art. 1916 c.c. non è un effetto automatico del pagamento dell'indennità, ma una facoltà il cui esercizio dipende dall'assicuratore, qualora costui non si avvalga di tale facoltà, il danneggiato può agire per il risarcimento del danno nei confronti del terzo responsabile senza che questi, estraneo al rapporto di assicurazione, possa opporgli l'avvenuta riscossione dell'indennità assicurativa.

L'orientamento si fonda sul rilievo che il meccanismo surrogatorio ex art. 1916 c.c. - peculiare forma di successione a titolo particolare e di carattere derivativo dell'assicuratore nel diritto di credito del danneggiato - non opera automaticamente, cioè come conseguenza del fatto puro e semplice del pagamento dell'indennità assicurativa, ma solo se e nel momento in cui l'assicuratore, dopo averla corrisposta all'assicurato-danneggiato ed avvalendosi della facoltà concessagli dal codice, comunica al terzo responsabile del danno l'avvenuta solutio e manifesta contestualmente la volontà di surrogarsi nei diritti dell'assicurato verso il terzo, al fine appunto di rivalersi su questo della somma pagata a quello. Prima della comunicazione al responsabile del danno, da parte dell'assicuratore, della volontà di avvalersi del diritto di surrogazione, non si verifica, per effetto della corresponsione dell'indennità, alcuna sostituzione nel diritto di credito del danneggiato, il quale, ancorché abbia già riscosso l'indennizzo, può dunque agire nei confronti del responsabile del danno e per il ristoro integrale di esso. Soltanto se l'assicuratore si avvale della facoltà di surrogarsi nei diritti del danneggiato si ha la conseguenza che, da tale momento e per la somma corrispondente alla riscossa indennità, l'assicurato non è più legittimato a pretendere dal terzo il risarcimento del danno, essendosi la relativa legittimazione trasferita, nei limiti derivanti dalla surrogazione, all'assicuratore.

Secondo tale orientamento, il cumulo di indennizzo e risarcimento non è precluso dal principio della compensatio lucri cum damno, destinato a trovare applicazione solo nel caso in cui il vantaggio ed il danno siano entrambi conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, quali suoi effetti contrapposti, e, quindi, non operante allorchè l'assicurato riceva dall'assicuratore contro i danni il relativo indennizzo a causa del fatto illecito del terzo. Tale prestazione ripete infatti la sua fonte e la sua ragione giuridica dal contratto di assicurazione e cioè da un titolo diverso ed indipendente dall'illecito stesso, il quale costituisce soltanto la condizione perchè questo titolo spieghi la sua efficacia, senza che il correlativo effetto di incremento patrimoniale eventualmente conseguito dall'assicurato possa incidere sul quantum del risarcimento dovuto dal danneggiante.

Questo indirizzo, tradizionalmente seguito nella giurisprudenza della Suprema Corte, ha avuto per lungo tempo applicazione incontrastata (Cass., Sez. 1, 23 ottobre 1954, n. 4019; Cass., Sez. 3, 29 marzo 1968, n. 971; Cass., Sez. 3, 7 aprile 1970, n. 961; Cass., Sez. 3, 8 settembre 1970, n. 1347; Cass., Sez. 1, 9 dicembre 1971, n. 3562; Cass., Sez. 3, 21 agosto 1985, n. 4473; Cass., Sez. 3, 26 febbraio 1988, n. 2051; Cass., Sez. 3, 10 febbraio 1999, n. 1135; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2003, n. 19766).

Esso ha ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite, le quali chiamate a risolvere la questione se sia di valore o di valuta il credito fatto valere dall'assicuratore ai sensi dell'art. 1916 c.c. - con la sentenza 13 marzo 1987, n. 2639, hanno incidentalmente riconosciuto come assolutamente univoco l'indirizzo a favore del cumulo della posta risarcitoria per il danneggiato-assicurato che abbia già riscosso l'indennizzo assicurativo, e ciò sino a quando il diritto potestativo di surroga non sia stato fatto valere dall'assicuratore.

Secondo un opposto orientamento - espresso da Cass., Sez. 3, 11 giugno 2014, n. 13233, in un caso di assicurazione contro gli infortuni non mortali - indennità assicurativa e risarcimento del danno assolvono ad un'identica funzione risarcitoria e non possono cumulativamente convivere: la percezione dell'indennizzo, da parte del danneggiato, elide in misura corrispondente il suo credito risarcitorio nei confronti del danneggiante, che pertanto si estingue e non può essere più preteso, né azionato. Come l'assicuratore può legittimamente rifiutare il pagamento dell'indennizzo ove l'assicurato abbia già ottenuto l'integrale risarcimento del danno dal responsabile, così il responsabile del danno può legittimamente rifiutare il pagamento del risarcimento allorchè l'assicurato abbia già ottenuto il pagamento dell'indennità dal proprio assicuratore privato contro i danni.

L'indirizzo muove dalla premessa che la diversità dei titoli in base ai quali l'assicurato-danneggiato può vantare da un lato l'indennizzo e dall'altro il risarcimento, non consente di superare il principio indennitario, e dal rilievo che con il cumulo di indennizzo e risarcimento, non giustificato dal pagamento del premio, l'assicurato verrebbe ad avere un interesse positivo all'avverarsi del sinistro.

Secondo questa linea ricostruttiva, per effetto del pagamento dell'indennizzo assicurativo, afferma la Corte, il diritto al risarcimento si trasferisce dall'assicurato-danneggiato all'assicuratore, con la conseguenza che, a seguito della surrogazione, l'assicurato non è più titolare del credito risarcitorio e non può esigerne il pagamento dal terzo danneggiante.

L'impossibilità, per l'assicurato, di cumulare indennizzo e risarcimento poggia inoltre sul principio di integralità del risarcimento, in virtù del quale il danneggiato non può, dopo il risarcimento, trovarsi in una condizione patrimoniale più favorevole rispetto a quella in cui si trovava prima di restare vittima del fatto illecito: sicchè, nell'ipotesi in cui il danneggiato percepisca l'indennizzo assicurativo prima del risarcimento del danno, l'obbligo risarcitorio del terzo responsabile viene meno in quanto l'intervento dell'assicuratore ha eliso (in tutto o in parte) il pregiudizio patito dal danneggiato stesso, e non si può pretendere il risarcimento di un danno che non c'è più.

In base a questo orientamento, la surrogazione dell'assicuratore non interferisce in alcun modo con il problema dell'esistenza del danno, e quindi con il principio indennitario: abbia o non abbia l'assicuratore rinunciato alla surroga, non può essere risarcito il danno inesistente ab origine o non più esistente, ed il danno indennizzato dall'assicuratore è un danno che ha cessato di esistere dal punto di vista giuridico dal momento in cui la vittima ha percepito l'indennizzo e fino all'ammontare di questo.

Il Collegio della Terza Sezione, nel rimettere la questione in discussione alle Sezioni Unite, prospettava come preferibile il secondo indirizzo.

Il Collegio rimettente dichiarava di auspicare che il problema interpretativo fosse risolto secondo i seguenti principi: a) alla vittima d'un fatto illecito spetta il risarcimento del danno esistente nel suo patrimonio al momento della liquidazione; b) nella stima di questo danno occorre tenere conto dei vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, a condizione che il vantaggio possa dirsi causato del fatto illecito; c) per stabilire se il vantaggio sia stato causato dal fatto illecito deve applicarsi la stessa regola di causalità utilizzata per accertare se il danno sia conseguenza dell'illecito.

La soluzione della specifica questione rimessa all'esame delle Sezioni Unite coinvolge dunque un tema di carattere più generale, che attiene alla individuazione della attuale portata del principio della compensatio lucri cum damno e sollecita una risposta all'interrogativo se e a quali condizioni, nella determinazione del risarcimento del danno da fatto illecito, accanto alla poste negative si debbano considerare, operando una somma algebrica, le poste positive che, successivamente al fatto illecito, si presentano nel patrimonio del danneggiato.

L'esistenza dell'istituto della compensatio, inteso come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno, non è controversa nella giurisprudenza della Suprema Corte, trovando il proprio fondamento nella idea del danno risarcibile quale risultato di una valutazione globale degli effetti prodotti dall'atto dannoso.

L’istituto della compensatio lucri cum damno. Ricordano gli Ermellini che se l'atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest'ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell'entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell'interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato. Questo principio è desumibile dall'art. 1223 c.c., il quale stabilisce che il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal danneggiato come il mancato guadagno, in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito. Tale norma implica, in linea logica, che l'accertamento conclusivo degli effetti pregiudizievoli tenga anche conto degli eventuali vantaggi collegati all'illecito in applicazione della regola della causalità giuridica. Se così non fosse - se, cioè, nella fase di valutazione delle conseguenze economiche negative, dirette ed immediate, dell'illecito non si considerassero anche le poste positive derivate dal fatto dannoso - il danneggiato ne trarrebbe un ingiusto profitto, oltre i limiti del risarcimento riconosciuto dall'ordinamento giuridico (Cass., Sez. 3, 11 luglio 1978, n. 3507).

In altri termini, il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l'illecito: come l'ammontare del risarcimento non può superare quello del danno effettivamente prodotto, così occorre tener conto degli eventuali effetti vantaggiosi che il fatto dannoso ha provocato a favore del danneggiato, calcolando le poste positive in diminuzione del risarcimento.

Controversi sono piuttosto la portata e l'ambito di operatività della figura, ossia i limiti entro i quali la compensatio può trovare applicazione, soprattutto là dove il vantaggio acquisito al patrimonio del danneggiato in connessione con il fatto illecito derivi da un titolo diverso e vi siano due soggetti obbligati, appunto sulla base di fonti differenti.

E' la situazione che si verifica quando, accanto al rapporto tra il danneggiato e chi è chiamato a rispondere civilmente dell'evento dannoso, si profila un rapporto tra lo stesso danneggiato ed un soggetto diverso, a sua volta obbligato, per legge o per contratto, ad erogare al primo un beneficio collaterale: si pensi all'assicurazione privata contro i danni, nella quale l'assicuratore, verso il pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l'assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro; si considerino i benefici della sicurezza e dell'assistenza sociale, da quelli legati al rapporto di lavoro (e scaturenti dalla tutela contro gli infortuni e le malattie professionali) a quelli rivolti ad assicurare ad ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi necessari per vivere una tutela assistenziale; si pensi, ancora, alle numerose previsioni di legge che contemplano indennizzi o speciali elargizioni che lo Stato corrisponde, per ragioni di solidarietà, a coloro che subiscono un danno in occasione di disastri o tragedie e alle vittime del terrorismo o della criminalità organizzata.

La vicenda concreta all'esame delle Sezioni Unite si colloca in quest'ambito. Sussistendo la responsabilità del terzo per il danno prodotto da un sinistro per il cui rischio il danneggiato si era in precedenza assicurato, specifica la Corte, a quest'ultimo spettano distinti diritti di credito: da un lato, il credito di risarcimento nei confronti del responsabile e, dall'altro, il credito di indennizzo nei confronti dell'assicuratore. Il duplice rapporto bilaterale è quindi rappresentato, per un verso, dalla relazione creata dal fatto illecito, permeata dalla disciplina della responsabilità civile, e, per l'altro verso, dal rapporto discendente dal contratto di assicurazione.

In questa ed in altre fattispecie similari si tratta di stabilire se l'incremento patrimoniale realizzatosi in connessione con l'evento dannoso per effetto del beneficio collaterale, avente un proprio titolo e una relazione causale con un diverso soggetto tenuto per legge o per contratto ad erogare quella provvidenza, debba restare nel patrimonio del danneggiato, cumulandosi con il risarcimento del danno, o debba essere considerato ai fini della corrispondente diminuzione dell'ammontare del risarcimento.

Date queste premesse e venendo, dunque, alla specifica questione oggetto del contrasto, secondo la Suprema Corte occorre innanzitutto considerare che, nell'assicurazione contro i danni, l'indennità assicurativa è erogata in funzione di risarcimento del pregiudizio subito dall'assicurato in conseguenza del verificarsi dell'evento dannoso: essa soddisfa, neutralizzandola in tutto o in parte, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo autore del fatto illecito.

Quando si verifica un sinistro per il quale sussiste la responsabilità di un terzo, al danneggiato che si era assicurato per tale eventualità, competono due distinti diritti di credito che, pur avendo fonte e titolo diversi, tendono ad un medesimo fine: il risarcimento del danno provocato dal sinistro all'assicurato-danneggiato.

Tali diritti sono però concorrenti, giacché - come è stato rilevato in dottrina - ciascuno di essi rappresenta, sotto il profilo funzionale, un mezzo idoneo alla realizzazione del medesimo interesse, che è quello dell'eliminazione del danno causato nel patrimonio dell'assicurato-danneggiato per effetto della verificazione del sinistro, sicchè l'assicurato-danneggiato non può pretendere dal terzo responsabile e dall'assicuratore degli indennizzi che nel totale superino i danni che il suo patrimonio ha subito.

Infatti, dato il carattere sussidiario dell'obbligazione assicurativa, quando il danneggiato, prima di percepire l'indennizzo assicurativo, ottiene il risarcimento integrale da parte del responsabile, cessa l'obbligo di indennizzo dell'assicuratore (Cass., Sez. 2, 25 ottobre 1966, n. 2595); se invece è l'assicuratore a indennizzare per primo l'assicurato, quando il risarcimento da parte del terzo responsabile non ha ancora avuto luogo, allora, ai sensi dell'art. 1916 c.c., l'assicuratore è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare dell'indennità corrisposta, nel diritto dell'assicurato verso il terzo medesimo.

Benchè il rapporto assicurativo nascente dal contratto ed il rapporto di danneggiamento derivante dal fatto illecito si collochino su piani diversi, tuttavia rispetto ad essi la surrogazione ex art. 1916 funge da meccanismo di raccordo, in quanto instaura ex novo una relazione diretta tra l'assicuratore che ha pagato l'indennità ed il responsabile del danno, sebbene il primo sia estraneo alla responsabilità civile derivante dall'illecito extracontrattuale, ed il secondo sia estraneo al contratto di assicurazione.

La surrogazione, infatti, mentre consente all'assicuratore di recuperare aliunde quanto ha pagato all'assicurato-danneggiato, impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di indennità assicurativa con quella ancora dovutagli dal terzo responsabile a titolo di risarcimento, e di conseguire così due volte la riparazione del pregiudizio subito. Senza la surrogazione, l'assicurato danneggiato conserverebbe l'azione di risarcimento contro il terzo autore del fatto illecito anche per l'ammontare corrispondente all'indennità assicurativa ricevuta: ma l'art. 1916 gliela toglie, perchè la trasmette all'assicuratore. Il risarcimento resta tuttavia dovuto dal danneggiante per l'intero, essendo questi tenuto a rimborsare all'assicuratore l'indennità assicurativa e a risarcire l'eventuale maggior danno al danneggiato: la riscossione dell'indennità da parte dell'assicurato-danneggiato in conseguenza dell'evento dannoso non ha quindi alcuna incidenza sulla prestazione del terzo responsabile, il quale dovrà risarcire, in ogni caso, l'intero danno.

La dottrina presenta unanimità di accenti nell'individuare nella surrogazione, ai sensi dell'art. 1916 c.c., una duplice e concorrente finalità: a) anzitutto, la salvaguardia del principio indennitario (desumibile dagli artt. 1882, 1904 e 1905 c.c., art. 1908 c.c., comma 1, art. 1909 c.c., art. 1910 c.c., comma 3), per cui la prestazione assicurativa non può mai trasformarsi in una fonte di arricchimento per l'assicurato e determinare, in suo favore, una situazione economica più vantaggiosa di quella in cui egli verserebbe se l'evento dannoso non si fosse verificato; b) in secondo luogo, la conservazione del principio di responsabilità (artt. 1218 e 2043 c.c.), per cui l'autore del danno è in ogni caso tenuto all'obbligazione risarcitoria, senza possibilità di vedere elisa o ridotta l'entità della relativa prestazione per effetto di una assicurazione non da lui, o per lui, stipulata. A queste finalità ne viene aggiunta spesso una terza, quella di consentire all'ente assicuratore, attraverso il recupero della perdita costituita dalla somma erogata a titolo di indennità, una riduzione dei costi di gestione del ramo e quindi, tendenzialmente, un contenimento del livello dei premi nei limiti in cui l'assicuratore sia in grado di recuperare dai terzi responsabili quanto erogato in forza dei propri impegni contrattuali.

Si tratta di una impostazione condivisa (in parte) dalla giurisprudenza della Suprema Corte, la quale, nell'evidenziare che il congegno della surrogazione dell'assicuratore nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili costituisce applicazione del principio indennitario, sottolinea che, in forza di tale principio, un sinistro non può diventare fonte di lucro per chi lo subisce, neppure quando l'indennizzo gli spetti a duplice titolo e da parte di soggetti diversi, e cioè dall'assicuratore e dall'autore del danno, l'eventualità del doppio indennizzo per lo stesso danno essendo appunto scongiurata dalla surrogazione legale dell'assicuratore che ha pagato l'indennità, fino a concorrenza di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili (Cass., Sez. 3, 29 gennaio 1973, n. 293; Cass., Sez. 3, 7 giugno 1977, n. 2341; Cass., Sez. 3, 7 maggio 1979, n. 2595).

La giurisprudenza che ammette la cumulabilità, in capo all'assicurato che ha riscosso l'indennità dalla propria compagnia, dell'intero ammontare del risarcimento del danno dovuto dal terzo responsabile, muove dall'idea che, per perfezionare la vicenda successoria della surrogazione e sancire la perdita del diritto al risarcimento in capo all'assicurato, non basti il fatto oggettivo del pagamento dell'indennità, ma debba ricorrere anche il presupposto soggettivo della comunicazione, indirizzata dall'assicuratore al terzo responsabile, di avere pagato e di volersi surrogare al proprio assicurato. La surrogazione opererebbe solo se e nel momento in cui l'assicuratore comunichi al terzo responsabile l'avvenuta solutio e manifesti contestualmente la volontà di surrogarsi nei diritti dell'assicurato verso il medesimo terzo, al fine appunto di rivalersi su questo della somma pagata a quello. Affinchè, da potenziale che era, divenga attuale e operante, il diritto di surrogazione dell'assicuratore richiederebbe questa manifestazione di volontà ad hoc da parte dell'assicuratore, perchè è alla sua iniziativa e disponibilità che la legge rimetterebbe il perfezionamento della successione a titolo derivativo nel diritto di credito. E' appunto da una tale configurazione (la surrogazione dell'assicuratore intesa, non come effetto automatico del pagamento dell'indennità, ma come facoltà il cui esercizio dipende dall'assicuratore solvens) che discende il corollario per cui, qualora l'assicuratore non si avvalga di tale facoltà, il pagamento dell'indennizzo lascerebbe immutato il diritto dell'assicurato di agire per ottenere l'intero risarcimento del danno nei confronti del terzo responsabile senza che questi possa opporgli in sottrazione - essendo diverso il titolo di responsabilità aquiliana rispetto alla fonte del debito indennitario gravante sull'assicuratore - l'avvenuta riscossione dell'indennità assicurativa.

Questa lettura, benchè invalsa nella giurisprudenza della Suprema Corte e non priva di riscontri a livello dottrinale, le Sezioni Unite hanno ritenuto di non poter ulteriormente convalidare.

L'art. 1916 c.c., comma 1, nel disporre che "l'assicuratore che ha pagato l'indennità è surrogato, fino alla concorrenza dell'ammontare di essa, nei diritti dell'assicurato verso i terzi responsabili", collega infatti il prodursi della vicenda successoria, automaticamente, al pagamento dell'indennità assicurativa.

Come emerge dal chiaro tenore testuale della disposizione, il codice condiziona il subingresso al semplice fatto del pagamento dell'indennità per quel danno di cui è responsabile il terzo, senza richiedere, a tal fine, la previa comunicazione da parte dell'assicuratore della sua intenzione di succedere nei diritti dell'assicurato verso il terzo responsabile.

Il subentro non è rimesso all'apprezzamento dell'assicuratore solvens. La perdita del diritto verso il terzo responsabile da parte dell'assicurato e l'acquisto da parte dell'assicuratore sono - come è stato rilevato in dottrina - effetti interdipendenti e contemporanei basati sul medesimo fatto giuridico previsto dalla legge: il pagamento dell'indennità assicurativa.

Questa interpretazione, secondo le Sezioni Unite, sarebbe confermata dall'analisi dell'art. 1203 c.c., il quale, attraverso l'ampio rinvio del n. 5 ("negli altri casi stabiliti dalla legge"), è suscettibile di comprendere nell'ambito della surrogazione legale, operante di diritto, anche questa peculiare successione a titolo particolare nel credito, nella quale la prestazione dell'assicuratore è diretta ad estinguere un rapporto diverso da quello surrogato (cfr. Cass., Sez. U., 29 settembre 1997, n. 9554).

E si tratta di soluzione maggiormente in linea con la ratio della surrogazione dell'assicuratore, essendo ragionevole ritenere che, attraverso l'automaticità, il legislatore, in ossequio al principio indennitario, abbia voluto impedire proprio la possibilità per l'assicurato-danneggiato, una volta ricevuto l'indennizzo dall'assicuratore, di agire per l'intero nei confronti del terzo responsabile; laddove questo principio verrebbe incrinato se l'inerzia dell'assicuratore bastasse a determinare la permanenza, nell'assicurato indennizzato, della titolarità del credito di risarcimento nei confronti del terzo anche per la parte corrispondente alla riscossa indennità, consentendogli di reclamare un risarcimento superiore al danno effettivamente sofferto.

Dunque, poichè nel sistema dell'art. 1916 c.c. è con il pagamento dell'indennità assicurativa che i diritti contro il terzo si trasferiscono, ope legis, all'assicuratore, deve escludersi un ritrasferimento o un rimbalzo di tali diritti all'assicurato per il solo fatto che l'assicuratore si astenga dall'esercitarli.

Nè l'opposta tesi - che ammette la reclamabilità dell'intero risarcimento del danno in aggiunta al già conseguito indennizzo assicurativo - si lascia preferire per il fatto che l'assicurato ha versato all'assicuratore dei regolari premi, che sarebbero altrimenti sine causa. E' una tesi, pervero, la quale ha trovato sostegno nella requisitoria del pubblico ministero, il quale, proprio soffermandosi sull'ipotesi del mancato esercizio della surroga da parte dell'assicuratore, ha giustificato l'"arricchimento" della vittima in ragione del "rapporto oneroso di assicurazione", essendo "irragionevole trattare allo stesso modo, sul piano risarcitorio, chi abbia e chi non abbia stipulato un rapporto assicurativo, con relativi oneri di pagamento del premio". Ad avviso delle Sezioni Unite, si tratta di conclusione non condivisibile, giacchè nella assicurazione contro i danni la prestazione dell'indennità non è in rapporto di sinallagmaticità funzionale con la corresponsione dei premi da parte dell'assicurato, essendo l'obbligo fondamentale dell'assicuratore quello dell'assunzione e della sopportazione del rischio a fronte della obiettiva incertezza circa il verificarsi del sinistro e la solvibilità del terzo responsabile. Il pagamento dei premi, in altri termini, è in sinallagma con il trasferimento del rischio, non con il pagamento dell'indennizzo. D'altra parte, ritengono gli Ermellini, se davvero l'indennità costituisse il corrispettivo del versamento all'assicuratore di regolari premi, si dovrebbe anche ammettere che, avvenuto il sinistro, l'assicurato abbia comunque titolo a reclamare l'indennità, pur quando il danno sia stato integralmente risarcito dal terzo responsabile: soluzione, questa, evidentemente non sostenibile, posto che nel caso di danno già risarcito dal terzo cessa l'obbligo di indennizzo dell'assicuratore.

Conclusivamente, a risoluzione del contrasto di giurisprudenza, le Sezioni Unite hanno enunciato il seguente principio di diritto: "il danno da fatto illecito deve essere liquidato sottraendo dall'ammontare del danno risarcibile l'importo dell'indennità assicurativa derivante da assicurazione contro i danni che il danneggiato-assicurato abbia riscosso in conseguenza di quel fatto".

 

Avv. Jacopo Alberghi – Avvocato del Foro della Spezia

 

Di seguito il testo integrale della sentenza sopra riportata in estratto: Cassazione civile, Sez. Un., 22/5/2018, n. 12565