Controverso è il diritto del figlio al risarcimento dei danni causati dall’assenza della figura genitoriale, in punto sia di an, sia di quantum debeatur.
Sul punto si è pronunciata la Suprema Corte, con sentenza n. 26205/2013, la quale ha affermato che “l'obbligo dei genitori di educare e mantenere i figli (art. 147 e 148 c.c.) è eziologicamente connesso esclusivamente alla procreazione, prescindendo dalla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, così determinandosi un automatismo tra responsabilità genitoriale e procreazione, che costituisce il fondamento della responsabilità aquiliana da illecito endofamiliare, nell'ipotesi in cui alla procreazione non segua il riconoscimento e l'assolvimento degli obblighi conseguenti alla condizione di genitore. Il presupposto di tale responsabilità e del conseguente diritto del figlio al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali è costituito dalla consapevolezza del concepimento, che non si identifica con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica, ma si compone di una serie di indizi univoci, quali, nella specie, la indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento”.
In fatto. Assumendo di essere i figli del convenuto, gli attori spiegavano domanda giudiziale di riconoscimento della paternità e, contestualmente, chiedevano il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti nel corso della loro esistenza a causa dell’assenza della figura paterna.
In primo grado gli attori vedevano accolte le proprie pretese ed accertata la paternità del convenuto, il quale era inoltre condannato al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti dai figli.
La predetta pronuncia era impugnata dal padre che, in sede di appello, contestava l’esistenza di un illecito civile a suo carico, sia sotto il profilo psicologico, dal momento che assumeva di non essere a conoscenza del suo status parentale fino alla citazione in giudizio, sia sotto il profilo del nesso di causalità, da ritenersi interrotto a causa del comportamento della madre, che aveva omesso di richiedere tutela giudiziale per quaranta anni, e dei due attori, i quali avevano proposto l'azione in oggetto molto tardivamente.
L’appellante, inoltre, contestava la debenza del danno non patrimoniale, in mancanza di reato ed in assenza di prova certa della sofferenza degli attori, sottolineando, infine, l'eccessività del quantum di Euro 150.000,00 ciascuno. Il padre, infine, riteneva non dovuta tale voce di danno nei confronti di uno dei due figli, essendo stato ammesso dalla madre degli attori che, all'epoca del concepimento, frequentasse anche un altro uomo, nei confronti del quale il figlio aveva rivolto identica domanda.
Gli attori proponevano appello incidentale sull'ammontare del danno non patrimoniale e sul riconoscimento del danno patrimoniale.
La Corte d’Appello confermava la decisione del Giudice di prime cure, assumendo che l’illecito del padre consisteva non nel mancato adempimento del dovere di riconoscere lo status di figlio naturale in senso formale ma nell'aver danneggiato quello stesso status in senso sostanziale, mediante la violazione dei doveri genitoriali ex art. 147 c.c..
Anche la predetta pronuncia veniva impugnata da parte del padre, il quale adiva la Suprema Corte.
In diritto. La Corte di Cassazione, con la pronuncia in commento, ha chiarito che l’obbligo dei genitori di mantenere i figli sorge dalla nascita e discende dal mero fatto della generazione, non dipendendo tale obbligo dall’accertamento giudiziale dello status di paternità. Il conseguente diritto degli figli ad essere educati e mantenuti non ha valore meramente descrittivo ma presuppone un diritto in capo al figlio di condividere fin dalla nascita con il proprio genitore la relazione filiale, sia nella sfera intima ed affettiva, sia nella sfera sociale.
Si viene dunque a determinare un automatismo tra procreazione e responsabilità genitoriale, con la conseguenza che, nel caso in cui alla nascita non segua il riconoscimento, ma soprattutto la concreta assoluzione dei predetti obblighi genitoriali, queste violazioni costituiscono il fondamento di una responsabilità civile del padre o della madre da illecito cd. endofamiliare.
Presupposto della responsabilità del genitore, e del conseguente diritto del figlio al risarcimento, è quindi la consapevolezza del concepimento, consapevolezza che non s'identifica solo con la certezza assoluta derivante esclusivamente dalla prova ematologica ma si compone di una serie d'indizi univoci, generati dall'indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento.
Circa la determinazione del quantum debeatur della pretesa risarcitoria conseguente alla colpevole assenza della figura paterna. E’ discussa, in dottrina ed in giurisprudenza, l’applicabilità analogica al caso di specie delle tabelle previste per la morte del genitore, volte, come è noto, alla quantificazione del danno cd. da lesione parentale. E’ stato argomentato che il lutto da morte ha caratteristiche diverse da quelle del colpevole abbandono dei figli che caratterizza il caso di specie, in quanto quest'ultima situazione ha ancora margini di emendabilità. Pertanto il criterio tabellare "può rappresentare un punto di riferimento" nella liquidazione del danno in via analogica; i parametri adottati per la perdita parentale devono essere, di conseguenza, assunti, in via analogica e con l'applicazione di correttivi che ne giustifichino la liquidazione in via meramente equitativa. Come confermato dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento, la liquidazione del quantum dovrà dunque necessariamente avvenire secondo il criterio equitativo puro, tenendo conto il Giudice che “affinchè la sua decisione non presenti i connotati della arbitrarietà, deve indicare i criteri seguiti per determinare l'entità del risarcimento, risultando il suo potere discrezionale sottratto a qualsiasi sindacato in sede di legittimità solo allorché si dia conto che sono stati considerati i dati di fatto acquisiti al processo come fattori costitutivi dell'ammontare dei danni liquidati” (cfr. Cass. n. 8213/2013).
In conclusione quindi, come confermato dalla Suprema Corte, costituisce un fatto illecito risarcibile ex art. 2043 c.c. il comportamento omissivo posto in essere dal genitore, il quale si disinteressi completamente della prole, a prescindere del tempo intercorso dal concepimento ed anche in mancanza di una prova ematologica, qualora concorrano gravi indizi generati dall'indiscussa consumazione di rapporti sessuali non protetti all'epoca del concepimento.
Dott. Elia Sarpi - Avv. Jacopo Alberghi