La pronuncia in esame (Cass. civ., Sez. II, sentenza n. 18031 dell’1.07.2024) prende le mosse da un ricorso presentato da un condomino contro una sentenza della Corte d’Appello di Milano, la quale aveva escluso la natura comune del sottosuolo del terreno su cui il condominio era ubicato, ritenendolo di proprietà esclusiva della S.r.l. che vi aveva eseguito lavori di costruzione.
La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso facendo leva sull’erronea interpretazione del regolamento condominiale data dalla Corte territoriale.
L’istituto alla base della questione che ci occupa è quello dell’accessione, disciplinato dagli artt. 934 ss. c.c. e che costituisce uno dei modi di acquisto della proprietà a titolo originario, in base al quale la proprietà di una cosa si estende a ciò che si unisce ad essa, secondo il fenomeno della c.d. “attrazione reale”: la proprietà di ciò che viene incorporato al suolo, pertanto, si acquista di diritto al momento stesso dell’incorporazione.
In virtù del principio di certezza giuridica e di tutela dell’affidamento dei terzi, inoltre, il suolo viene considerato cosa principale, per cui tutto quello che viene incorporato in esso si considera parte dello stesso.
Nel tempo, si sono susseguiti diversi orientamenti circa la relazione intercorrente tra un suolo in comproprietà e le costruzioni su di esso edificate.
Secondo un primo orientamento, gli interventi effettuati sul suolo di proprietà comune, ancorché realizzati da uno solo dei comproprietari, devono anch’essi essere considerati comuni, dovendosi pertanto applicare l’istituto summenzionato.
Secondo un altro, più recente orientamento, invece, dovrebbe applicarsi l’istituto della comunione, disciplinato dagli artt. 1100 ss. c.c., con la conseguenza che la nuova costruzione diverrebbe di proprietà comune dei comunisti, anche non costruttori, solamente nel caso in cui essa venisse realizzata nel rispetto della disciplina codicistica in materia di cose comuni, con l’inevitabile postulato secondo cui sarebbe imprescindibile il raggiungimento di un accordo esplicito, con la maggioranza dei comunisti, al fine di procedere a modifiche della cosa comune.
Il contrasto è stato risolto con l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, propendendo per il primo di detti orientamenti, hanno evidenziato come non sia applicabile l’istituto della comunione, non sussistendo un rapporto di genus ad speciem tra accessione e comunione e non potendosi pertanto concepire la comunione come una deroga alla disciplina dei modi di acquisto della proprietà.
Inoltre, non sarebbe condivisibile l’assunto secondo cui la costruzione edificata diverrebbe di proprietà comune solo se eseguita in conformità all’art. 1102 c.c., mentre se eseguita in violazione di detta disciplina sarebbe di proprietà esclusiva del solo comproprietario costruttore. Così ragionando si creerebbe, infatti, un nuovo modo di acquisto della proprietà.
A ulteriore conferma di tale ragionamento, la Corte aggiunge che il regolamento di condominio non costituisce un titolo di proprietà, ove non si tratti di regolamento allegato come parte integrante al primo atto d’acquisto trascritto, ovvero di regolamento espressione di autonomia negoziale, approvato o accettato col consenso individuale dei singoli condomini e volto perciò a costituire, modificare o trasferire i diritti attribuiti ai singoli condomini dagli atti di acquisto o dalle convenzioni.
In conclusione, la costruzione eseguita dal comproprietario sul suolo comune diviene per accessione di proprietà comune agli altri comproprietari, salvo contrario accordo – traslativo della proprietà o costitutivo di un diritto reale – avente forma scritta ad substantiam: pertanto, secondo la Cassazione, in ipotesi di regolamenti condominiali che non cristallizzano la volontà di escludere il suolo dalla comunione, questo deve essere considerato come comune a tutti i condomini.
Dott.ssa Alessia Cassone e Avv. Jacopo Alberghi del Foro della Spezia