Con la pronuncia in commento (Cassazione penale sez. IV, 14/11/2019, dep. 21/11/2019, n.47204), la Suprema Corte affronta il tema della causalità della colpa nell'ambito della circolazione stradale, in occasione di un sinistro tra auto e pedone che non utilizzava l'apposito attraversamento pedonale; il pedone che non utilizza le apposite strisce pedonali concorre sempre al sinistro? Cosa accade se il comportamento alternativo lecito non spiega efficacia impeditiva dell'evento?
Sul punto, preme sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il conducente di un veicolo è tenuto ad osservare, in prossimità degli attraversamenti pedonali, la massima prudenza e a mantenere una velocità particolarmente moderata, tale da consentire l'esercizio del diritto di precedenza, spettante in ogni caso al pedone che attraversi la carreggiata nella zona delle strisce zebrate, essendo al riguardo ininfluente che l'attraversamento avvenga sulle dette strisce o nelle vicinanze. E la Corte ha chiarito che non è possibile determinare aprioristicamente la distanza dalle strisce entro la quale la detta precedenza opera, dovendosi avere riguardo al complessivo quadro nel quale avviene l'attraversamento pedonale (cfr. Cass. n. 47290/2014).
Per configurare una cooperazione colposa del pedone, non basta dunque che lo stesso abbia omesso di attraversare sulle strisce pedonali ma è necessario accertare se la condotta omessa sia causalmente riconducibile con l'evento, si parla appunto di "causalità della colpa".
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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
(omissis)
1. La Corte di Appello di Messina, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la sentenza assolutoria, per insussistenza del fatto, resa dal Tribunale di Messina in data 3 luglio 2015, nei confronti di M.C., chiamata a rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p., aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale in danno di S.N.. Alla prevenuta si addebita di avere provocato la rovinosa caduta del ciclista S., avendo attraversato la strada al di fuori delle strisce pedonali.
La Corte territoriale rilevava che l'attraversamento pedonale teatro del sinistro risulta ampiamente segnalato; e sottolineava che tale circostanza imponeva al S. di prestare particolare attenzione, per la possibile presenza di pedoni. Ciò posto, il Collegio ha rilevato che la M. aveva attraversato la strada a soli nove metri di distanza dalle strisce; ed ha ritenuto non rilevante tale circostanza a carico del pedone, atteso che l'elevata velocità della bicicletta e l'assenza di alcuna cautela da parte del ciclista nell'impegnare il tratto stradale di cui si tratta inducevano a ritenere che S. avrebbe investito la M., anche se costei si fosse trovata esattamente in corrispondenza delle strisce pedonali.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Messina hanno proposto ricorso per cassazione con unico atto le parti civili S.F., V.C. e S.A., a mezzo del difensore. Le parti osservano di vantare un preciso interesse all'impugnazione, stante le preclusioni in loro danno derivanti dalla formula assolutoria per insussistenza del fatto adottata dai giudici di merito.
Ciò posto, con il primo motivo si deduce promiscuamente violazione di legge e vizio motivazionale. Le parti civili rilevano che la Corte di Appello non ha argomentato sulla dinamica del sinistro, essendosi limitata a richiamare la ricostruzione effettuata dal primo giudice. Osservano che il Collegio ha erroneamente affermato che nella condotta del ciclista erano rinvenibili profili di imprudenza, per la velocità elevata e per l'andatura cosiddetta in scia, rispetto ad altro ciclista, tale da impedire la visuale.
Le parti civili considerano che i giudici di merito hanno ignorato il contenuto del verbale redatto dalla polizia municipale, indicativo della andatura regolare del ciclista, come pure le dichiarazioni rese dall'altro ciclista che accompagnava la persona offesa, la documentazione agli atti e le valutazioni del consulente tecnico di parte. Rilevano che la Corte distrettuale ha del tutto omesso di esaminare le doglianze che le parti civili avevano affidato all'atto di appello. E sottolineano che la polizia municipale ebbe a sanzionare unicamente l'imputata e non il ciclista.
Con il secondo motivo le parti censurano la valutazione effettuata nella sentenza impugnata rispetto alla regola causale connessa alla ritenuta violazione dell'art. 141 C.d.S. da parte del ciclista.
Le parti ricorrenti osservano che la Corte di Appello, tautologicamente, ha individuato la velocità adeguata, da parte del ciclista, con quella che avrebbe evitato il verificarsi dell'evento. Rilevano che il Collegio ha effettuato una inammissibile valutazione ex post, laddove la velocità prudenziale ex art. 141 C.d.S. deve essere apprezzata con valutazione preventiva, alla luce dello stato dei luoghi.
Sul punto, le ricorrenti parti civili sottolineano che i giudici di merito non hanno indicato la velocità che sarebbe stata prudenziale, da parte del ciclista, rispetto alle circostanze accertate nel caso di specie; e che neppure hanno individuato la velocità in concreto tenuta da S.N..
Con il terzo motivo viene contestato il ragionamento probatorio relativo alla ricostruzione della dinamica causale, in riferimento alla causalità della colpa. Le parti civili osservano che erroneamente i giudici hanno valutato la condotta commissiva della persona offesa, rispetto alle lesioni mortali riportate dal medesimo ciclista, anzichè soffermarsi sulla condotta del pedone, odierno imputato.
Rilevano che la condotta osservante della regole della circolazione stradale, da parte della M., avrebbe avuto significative possibilità di evitare l'evento.
In punto di fatto, le parti civili rilevano poi che, nel caso, il pedone ebbe ad effettuare l'attraversamento con gesto repentino, sbucando tra due autovetture che si trovavano parcheggiate a lato della strada.
Rilevano che a carico della M. si profila quanto meno un concorso di colpa, rispetto alla verificazione dell'evento mortale, tenuto conto della violazione dell'obbligo di dare precedenza ai veicoli, che si profila ogni qual volta l'attraversamento avvenga al difuori delle strisce pedonali.
Con il quarto motivo i ricorrenti si dolgono del mancato rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, funzionale all'espletamento di perizia.
Osservano che nel caso si registrano contrapposte valutazioni, sulla velocità di marcia del ciclista, espresse dal consulente tecnico dell'imputata e da quello delle parti civili, di talchè si rendeva necessario l'espletamento di perizia. Denunciano quindi l'omessa assunzione di prova decisiva.
Con il quinto motivo le parti civili si dolgono della mancata affermazione di responsabilità da fatto illecito dell'imputata, con condanna al risarcimenti dei danni materiale e morali.
1. I richiamati motivi di ricorso impongono i rilievi che seguono.
2. Ci si sofferma primieramente sulla eccezione processuale affidata al quarto motivo di ricorso.
Giova rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha da tempo chiarito: che il vigente codice di rito penale pone una presunzione di completezza dell'istruttoria dibattimentale svolta in primo grado; che la rinnovazione, anche parziale, del dibattimento, in sede di appello, ha carattere eccezionale e può essere disposta unicamente nel caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti; e che solo la decisione di procedere a rinnovazione deve essere specificamente motivata, occorrendo dar conto dell'uso del potere discrezionale derivante dalla acquisita consapevolezza di non poter decidere allo stato degli atti, (Sez. 5, n. 6379 del 17/03/1999, dep. 21/05/1999, Rv. 213403).
Nell'alveo dell'orientamento interpretativo ora richiamato, la Suprema Corte ha poi affermato che l'esercizio del potere di rinnovazione istruttoria si sottrae, per la sua natura discrezionale, allo scrutinio di legittimità, nei limiti in cui la decisione del giudice di appello, tenuto ad offrire specifica giustificazione soltanto dell'ammessa rinnovazione, presenti una struttura argomentativa che evidenzi - per il caso di mancata rinnovazione - l'esistenza di fonti sufficienti per una compiuta e logica valutazione in punto di responsabilità (cfr. Sez. 6, n. 40496 del 21/05/2009, dep. 19/10/2009, Rv. 245009).
Conclusivamente sul punto, deve rilevarsi che la Corte territoriale si è diffusamente soffermata sul contenuto della documentazione, anche fotografica acquisita agli atti, chiarendo esaustivamente i termini di fatto della vicenda, di talchè il ragionamento probatorio complessivamente svolto non può essere censurato per il mancato rinnovo dell'istruttoria dibattimentale, funzionale all'espletamento di perizia cinematica. Preme, al riguardo, sottolineare che il Collegio si è soffermato sulle specifiche modalità con le quali venne effettuato l'attraversamento della sede stradale, in prossimità di un passaggio preventivamente segnalato anche da segnaletica verticale, oltre che da rallentatori ottici di velocità; ed ha chiarito che la presenza del pedone risultava in concreto del tutto prevedibile, tenuto pure conto del fatto che la donna proveniva da un'area di sosta. Del resto, le Sezioni Unite hanno di recente affermato la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d), in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova "neutro", sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, Rv. 270936).
3. Tanto chiarito, è dato trattare congiuntamente i primi tre motivi di ricorso, che si risolvono tutti nella inammissibile richiesta di valutazione alternativa del compendio probatorio ed opera della Corte regolatrice.
Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (in tal senso, ex plurimis, Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per effetto della L. 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23.03.2006, Rv. 234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che i ricorrenti invocano, in realtà, una riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del sinistro. Ed invero, i deducenti non sollevano censure che attingono il percorso argomentativo sviluppato dal giudice di appello, ma si dolgono del mancato recepimento della tesi alternativa prospettata delle parti civili, rispetto alla dinamica del sinistro.
E' poi appena il caso di rilevare che la Corte distrettuale ha chiarito le ragioni per le quali ha ritenuto di confermare la valutazione conclusiva espressa dal Tribunale, sviluppando un percorso argomentativo integrativo della prima motivazione che non presenta le denunziate aporie di ordine logico e che risulta immune da censure rilevabili in questa sede di legittimità. Segnatamente, la Corte di Appello ha evidenziato che il profillo di colpa ascritto alla M., per aver attraversato la sede stradale a nove metri di distanza dalle strisce orizzontali, risultava causalmente non rilevante, rispetto alla concreta dinamica dell'incidente. Ciò in riferimento al modesto grado di difformità tra la condotta attesa e quella in concreto tenuta. Il Collegio ha infatti rilevato che anche laddove l'attraversamento della sede stradale fosse avvenuto in corrispondenza delle strisce pedonali, il ciclista S. avrebbe ugualmente investito il pedone, atteso che la condotta di guida del ciclista è risultata, in concreto, del tutto inosservante degli obblighi prudenziali che scattano in prossimità degli attraversamenti pedonali.
Sul punto, preme allora sottolineare che la giurisprudenza di legittimità ha precisato che il conducente di un veicolo è tenuto ad osservare, in prossimità degli attraversamenti pedonali, la massima prudenza e a mantenere una velocità particolarmente moderata, tale da consentire l'esercizio del diritto di precedenza, spettante in ogni caso al pedone che attraversi la carreggiata nella zona delle strisce zebrate, essendo al riguardo ininfluente che l'attraversamento avvenga sulle dette strisce o nelle vicinanze. E la Corte ha chiarito che non è possibile determinare aprioristicamente la distanza dalle strisce entro la quale la detta precedenza opera, dovendosi avere riguardo al complessivo quadro nel quale avviene l'attraversamento pedonale (Sez. 4, n. 47290 del 09/10/2014 - dep. 17/11/2014, S, Rv. 26107301). In tale ambito ricostruttivo, si è quindi sottolineato che, nel caso in cui il tratto stradale sia costeggiato da case ed esercizi commerciali, il conducente di un veicolo deve considerare possibile l'eventuale sopravvenienza di pedoni e quindi tenere una andatura ed un livello di attenzione idonei ad evitare investimenti (Sez. 4, n. 39474 del 16.02.2016, Bianchi, n. m.). Come si vede, il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte di Appello risulta del tutto consonate rispetto ai richiamati principi di diritto, posto che i giudici di merito si sono conferentemente soffermati sulle caratteristiche del tratto stradale in cui si è verificato l'investimento, caratterizzato dalla presenza di attraversamento pedonale e da esercizi commerciali.
Da ultimo, deve rilevarsi che il richiamato ragionamento di tipo controfattuale sviluppato dalla Corte territoriale, sulla inutilità del comportamento alternativo lecito da parte del pedone, risulta pienamente conferente rispetto alle indicazioni offerte dal diritto vivente sul versante della cosiddetta a causalità della colpa.
Come noto, la Corte regolatrice, esaminando il tema della ascrivibilità soggettiva della violazione della norma cautelare nell'ambito delle fattispecie colpose, ha chiarito che, in applicazione del principio di colpevolezza, occorre verificare - oltre alla materiale violazione, da parte del soggetto agente, della regola cautelare - anche la prevedibilità ed evitabilità dell'evento dannoso, che la regola cautelare mirava a prevenire, secondo il paradigma della c.d. "concretizzazione" del rischio. La dichiarazione di responsabilità penale impone di verificare, cioè, non soltanto se la condotta abbia concorso a determinare l'evento e se la medesima condotta sia stata caratterizzata dalla violazione di una regola cautelare, sia essa generica o specifica, ma anche se l'agente potesse prevedere, con giudizio "ex ante", non già lo specifico evento come in concreto verificatosi, in tutte le sue minute articolazioni causali, ma la classe di eventi in cui quello oggetto della contestazione si colloca ed attivarsi per evitarlo (Sez. 4, sentenza n. 4793, del 6.12.1990, dep. 29.04.1991, Rv. 191792; Sez. 4, Sentenza n. 39606 del 28.06.2007, dep. 26/10/2007, Rv. 237880). Con la precisazione che nell'indagine causale, da effettuarsi ex post, vengono in rilievo le basi nomologiche note al momento del giudizio, mentre nell'indagine sulla colpa, che si effettua ex ante, dovendosi valutare il comportamento posto in essere dall'agente, ai fini del giudizio di rimproverabilità personale, vengono in rilievo soltanto le basi nomologiche note all'agente nel momento di realizzazione della condotta. E, con specifico riferimento ai casi di omicidio colposo provocato da incidente stradale, la Corte Suprema ha ripetutamente indicato la necessità di accertare se l'evento si sarebbe comunque verificato, anche ipotizzando l'osservanza delle regole cautelari che vengono in rilievo nel caso di specie. Al riguardo, si è precisato che "l'accertata violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti, di una specifica norma di legge dettata per la disciplina della circolazione stradale non può di per sè far presumere l'esistenza del nesso causale tra il suo comportamento e l'evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l'incidente si sarebbe ugualmente verificato anche qualora la condotta antigiuridica non fosse stata posta in essere" (Sez. 4, Sentenza n. 40802 del 18.09.2008, dep. 31.10.2008, Rv. 241475).
In conclusione, le valutazioni espresse dalla Corte di Appello, nel confermare l'esclusione di ogni profilo di responsabilità penale in capo alla M., risultano del tutto coerenti, rispetto alla richiamata indagine sulla causalità della colpa, indagine tanto più di necessaria in presenza del fattore causale integrato dalla imprudente condotta di guida della persona offesa, nei termini sopra ricordati.
4. L'ultimo motivo è manifestamente infondato.
L'art. 538 c.p.p., comma 1, stabilisce che il giudice penale, "quando pronuncia sentenza di condanna", decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno proposta dalla parte civile.
Orbene, nel caso di specie i giudici di merito hanno mandato assolta per insussistenza del fatto l'odierna imputata; di riflesso, non è chi non veda che del tutto legittimamente non sono state pronunciate statuizioni di condanna al risarcimento del danno a carico della medesima prevenuta, statuizioni da qualificarsi del resto logicamente incompatibili, rispetto alla ritenuta insussistenza della stessa fattispecie generatrice di danno.
5. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma indicata in dispositivo in favore della Cassa delle Ammende.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 novembre 2019
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Sentenza tratta dalla Banca Dati Dejure-Giuffrè Francis Lefebvre che si ringrazia per la disponibilità.